Tra trasparenza per gli utenti e contentino per i grandi editori, il nuovo restyling di Google Discover punta sui brand, ma cosa significa per chi crea contenuti di valore?
Google ha rilasciato un nuovo redesign per Discover, evidenziando maggiormente nomi e loghi degli editori sopra le immagini. Questo, che segue altri recenti cambiamenti estetici e funzionali, solleva interrogativi sulla reale trasparenza e sull'impatto sui piccoli editori, in un contesto di espansione del feed su desktop e integrazione social.
Google Discover cambia ancora volto: più spazio ai brand, ma siamo sicuri sia una buona notizia per tutti?
Google ha appena sfornato l’ennesimo restyling per il suo feed Discover, quello che ti compare magicamente quando apri l’app Google o una nuova scheda su Chrome mobile. Un maggiore risalto, almeno così dicono, ai nomi dei siti e ai loghi degli editori, che ora si papperanno una bella barra dedicata sopra l’immagine dell’articolo.
Già, hai capito bene: il nome di chi ha scritto la notizia dovrebbe essere più visibile.
Come riportato da 9to5Google, questa mossa segue a ruota un altro cambiamento piuttosto invasivo di aprile 2025, quello del layout a larghezza intera. La solita solfa sulla “trasparenza” e sull'”adattamento alle esigenze dell’utente”.
Ma sotto sotto, cosa c’è veramente?
Questa enfasi sui brand è una mossa che, diciamocelo, arriva dopo un bel po’ di malumori. Ma andiamo con ordine e vediamo cosa cambia davvero per te e per chi, come me, sgobba per creare contenuti di valore.
Nomi dei siti in bella mostra: un passo verso la trasparenza oppure il contrario?
Quindi, il succo è questo: il nome del sito e il suo logo ora troneggiano in una barra sopra l’immagine di copertina, mentre l’orario di pubblicazione, prima magari più visibile, è stato relegato in basso a destra. Anche le schede “compatte” non sono state risparmiate: ora il titolo è a sinistra e l’immagine, quadrata, a destra, un bel cambio rispetto alla precedente visualizzazione con immagini rettangolari sulla destra.
Questa novità dovrebbe migliorare la visibilità della fonte mentre scorri il feed.
Bello, no?
Ma viene da chiedersi: è vera trasparenza o solo un modo per dare un contentino ai grandi editori, quelli con i loghi più riconoscibili?
E i piccoli, quelli che magari non hanno un brand forte ma contenuti di spessore, che fine fanno?
D’altronde, non è la prima volta che Google mette mano pesantemente a Discover, e non sempre con risultati esaltanti.
Ricordi il caos di aprile 2025?
Il layout a tutta larghezza introdotto allora aveva scatenato le ire di parecchi editori, con SERoundtable che riportava lamentele per immagini orribilmente tagliate e distorte – un bel problema quando l’impatto visivo è tutto.
E non dimentichiamo la progressiva omologazione al Material Design 3, che, come notato da Android Police, ha portato via le curvature delle card e introdotto menu “overflow” più compatti, rendendo il tutto forse un po’ più “clinico”, come hanno lamentato alcuni utenti sui social.
Insomma, un continuo cantiere aperto.
Ma questo nuovo focus sui nomi dei siti, al di là dell’estetica, che impatto avrà davvero sul lavoro di chi fa SEO e produce contenuti?
L’opinione degli addetti ai lavori: tra dati strutturati e l’ombra lunga dell’E-E-A-T
Qui la faccenda si fa interessante, perché, come sempre, ogni mossa di Google scatena un vespaio tra gli esperti SEO.
Da un lato, c’è chi, come sottolineato su SEOsly, ricorda l’importanza dei dati strutturati: anche se Google non impone tag specifici, usare schemi come Article o NewsArticle aiuta di sicuro i suoi algoritmi a capire meglio di cosa parliamo, e quindi a mostrarci (forse) alle persone giuste.
E poi c’è il mantra dell’E-E-A-T (Esperienza, Competenza, Autorevolezza, Affidabilità), che con l’espansione di Discover anche su desktop – una novità che Promodo evidenzia come cruciale per il 2025 – diventa ancora più una spada di Damocle.
Su desktop, infatti, gli utenti potrebbero essere più inclini a leggere analisi approfondite, e lì la credibilità di chi scrive peserà come un macigno.
Le reazioni, come puoi immaginare, sono contrastanti.
Alcuni editori tirano un sospiro di sollievo per la maggiore attribuzione, ma altri già storcono il naso per lo spazio visivo che si perde per i titoli, che potrebbero diventare meno accattivanti.
E mentre c’è chi si lamenta sui social di un’estetica sempre più fredda e impersonale, i marketer più attenti stanno già con gli occhi sui dati di Click-Through Rate (CTR): le prime analisi, citate sempre da SEOsly, suggerirebbero un aumento del 12-18% di engagement sulle card che mettono in evidenza il brand.
Sarà vero?
E, soprattutto, questo vantaggio andrà a tutti o solo ai soliti noti con budget milionari per il branding?
Il dubbio, permettimelo, è più che legittimo.
Ma se allarghiamo un po’ lo sguardo, cosa ci racconta questa ennesima modifica sulla strategia complessiva di Google?
Discover verso il desktop e l’integrazione social: cosa bolle davvero in pentola a Mountain View?
Con Discover che si prepara a sbarcare in pianta stabile anche sui nostri computer, e non solo sugli smartphone, Google sembra giocare una partita su più tavoli. Da una parte, c’è il tentativo, nemmeno troppo velato, di fare concorrenza alle piattaforme social, tanto che, come osservato sempre da 9to5Google in un precedente report, nel feed hanno iniziato a comparire anche post da Instagram e Twitter.
Un bel minestrone di notizie tradizionali e contenuti social, non trovi?
E poi, naturalmente, c’è l’Intelligenza Artificiale, che Google vuole usare sempre di più per personalizzare i contenuti su tutti i dispositivi, come anticipato ancora da Promodo. Viene da pensare che questa mossa di dare più risalto ai nomi dei siti sia solo una piccola parte di un disegno più grande. Google, diciamocelo chiaramente, deve barcamenarsi tra il tenere buoni gli editori (che, dopo le storie delle immagini tagliate male, qualche garanzia in più la pretendevano) e il perseguire i propri obiettivi di engagement e monetizzazione.
Ma alla fine della fiera, chi ci guadagna davvero da questi continui cambiamenti? L’utente, con una “migliore esperienza”, o Google stessa, che rafforza il suo ecosistema e la sua capacità di tenerci incollati ai suoi servizi?
La sensazione è che, ancora una volta, siamo di fronte a un gigante che cerca di bilanciare interessi diversi, ma con un occhio di riguardo sempre al proprio. Staremo a vedere se questa maggiore “trasparenza” sui brand si tradurrà in un vantaggio reale anche per i piccoli e medi editori o se, come spesso accade, finirà per consolidare ulteriormente le posizioni dominanti.
Tu che ne pensi?