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Contattaci ora →La migrazione come cartina tornasole: quando i problemi SEO preesistenti vengono a galla e la qualità dei contenuti diventa un fattore discriminante.
Un portale educativo ha visto il suo traffico crollare dopo una migrazione di dominio. Inizialmente attribuita al trasloco, Google tramite John Mueller ha rivelato la vera causa: la presenza di contenuti di bassa qualità e fuori tema che sono emersi in modo critico con il cambio di indirizzo, in un periodo di algoritmi Google più severi.
Migrazione fatale? Non proprio: quando il trasloco svela gli scheletri nell’armadio
Ti è mai capitato di pensare che una migrazione di dominio fosse la causa di tutti i tuoi mali SEO?
Beh, la storia recente di un portale educativo, passato da javatpoint.com a tpointtech.com, sembrava confermare proprio questo incubo: un crollo verticale nei ranking di Google e una sparizione quasi totale del traffico.
La colpa, a detta dei gestori, era tutta del cambio di casa.
Ma John Mueller di Google, durante una discussione pubblica, ha scoperchiato un vaso di Pandora che pochi si aspettavano, dimostrando, come riportato da Search Engine Journal, che la migrazione in sé non era il vero colpevole. A quanto pare, il nuovo dominio si era portato dietro una zavorra di contenuti di bassissima qualità, articoli su celebrità indiane e guide per guardare film online, totalmente fuori tema per un sito che dovrebbe parlare di formazione.
Materiale che, evidentemente, prima passava inosservato o quasi, ma che con il “reset” della migrazione è venuto a galla con tutta la sua irrilevanza.
Mueller ha spiegato che la migrazione ha semplicemente “innescato una catena di eventi che ha portato alla vera causa”.
Una doccia fredda per chi credeva bastasse un redirect 301 fatto a regola d’arte.
E ti fa chiedere: quante altre volte diamo la colpa al contenitore, senza guardare bene cosa c’è dentro?
Questa vicenda, però, non è un fulmine isolato in un cielo sereno, anzi.
Si inserisce in un contesto dove Google sembra aver affilato parecchio le sue lame, soprattutto quando si parla di qualità. Pensiamo al famigerato aggiornamento di maggio 2025, che ha messo in subbuglio settori delicati come l’educazione, la salute e la finanza, proprio affinando i criteri con cui valuta la pertinenza e l’autorevolezza dei contenuti. Molti siti, anche quelli che si sentivano al sicuro, hanno visto il loro traffico ballare la rumba, con perdite che in alcuni casi hanno toccato il 60% quasi da un giorno all’altro.
Quegli articoli “spazzatura” del portale educativo, quindi, erano una bomba a orologeria, e la migrazione ha solo acceso la miccia in un momento in cui Google era già particolarmente severo. Questo ci insegna che navigare alla cieca, sperando che i vecchi trucchi o i contenuti un po’ così continuino a funzionare, è diventato un gioco pericolosissimo.
Ma la vera domanda è: siamo sicuri che sia solo una questione di contenuti o c’è dell’altro che Google non ci dice sulla reale complessità con cui gestisce questi passaggi critici?
La sindrome del “tutto a posto” e le verità scomode delle migrazioni
Il fatto è che casi come questo mettono a nudo una certa tendenza a fermarsi alla superficie.
“Ho fatto tutti i redirect, ho usato il Change of Address Tool di Google, perché sto crollando?”
Questa è la domanda che si è posto anche il proprietario di un sito che, migrando da un .net a un .com, ha visto il traffico precipitare del 90% e ha impiegato un anno e mezzo per recuperare il terreno perso, nonostante avesse seguito tutte le procedure “da manuale”. Persino Google stessa, quando nel 2025 ha deciso di migrare i propri domini ccTLD (come google.de) verso il .com globale, ha ammesso di aver incontrato qualche intoppo tecnico.
Questo ti fa capire che le migrazioni sono bestie complesse, veri e propri stress test, come ha sottolineato l’analista SEO Roger Montti, che se il tuo sito ha delle magagne nascoste, queste verranno fuori con gli interessi. E mentre Mueller punta il dito sui contenuti – e spesso a ragione, non fraintendermi – viene da chiedersi se la “fresca scansione” che Google opera post-migrazione non sia a volte un po’ troppo punitiva o se i suoi sistemi non abbiano delle zone d’ombra nel rimettere insieme i pezzi di un sito che ha cambiato indirizzo.
Insomma, è facile dire “colpa tua che avevi contenuti scarsi”, ma quanto è trasparente e prevedibile il processo di revisione di Google in queste fasi?
Staremo a vedere se in futuro ci daranno qualche strumento in più per non brancolare così tanto nel buio.
Verissimo. Spesso si dà la colpa alla migrazione, ma la qualità paga sempre.
Concordo con Luigi: la migrazione evidenzia ciò che non va. Bisogna curare i contenuti!
Quindi, la migrazione è come un check-up medico: se sei malato, lo scopri. Contenuti scadenti? Google non perdona, specie ora. Bisogna lavorare sodo prima del “trasloco”.
La migrazione è un crash test. Se la base è solida, regge. Altrimenti… si vede tutto.