Google Condannata a Pagare $314 Milioni in California per Uso Dati Nascosto

Anita Innocenti

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Google condannata: Android prosciugava i dati degli utenti all’insaputa, una pratica che ora costa carissima e apre un precedente rischioso per le Big Tech

Una giuria in California ha condannato Google a pagare 314 milioni di dollari. Il motivo è la raccolta di dati dagli smartphone Android a insaputa degli utenti, anche senza connessione Wi-Fi. La causa riguarda 14 milioni di utenti e stabilisce un precedente legale, riconoscendo i dati cellulari come proprietà dell'utente. Google ha annunciato appello.

Ma cosa ha combinato Google, esattamente?

L’accusa, portata avanti a nome di 14 milioni di utenti californiani, è semplice e diretta: Google avrebbe deliberatamente programmato gli smartphone Android per inviare dati ai suoi server, anche quando il telefono era inattivo e non connesso al Wi-Fi – così scrive Reuters.

In pratica, mentre tu pensavi che il tuo dispositivo fosse a riposo, lui stava tranquillamente usando i tuoi dati cellulari, quelli che paghi di tasca tua, per comunicare con la casa madre.

Un po’ come un contatore che continua a girare anche a rubinetto chiuso.

Questi dati, come descritto nel dettaglio da 9to5Google, non servivano solo per “manutenzione”, ma venivano sfruttati per scopi ben più redditizi, come la pubblicità mirata e i servizi di mappatura.

Ma la parte più interessante, come sempre, è la scusa che hanno tirato fuori per giustificare il tutto.

La difesa di Google (e perché non ha convinto nessuno)

Di fronte alle accuse, la risposta di Google, affidata al portavoce José Castañeda, è stata quasi surreale. Ha definito la sentenza un “passo indietro per gli utenti”, sostenendo che questa raccolta dati fosse fondamentale per la sicurezza e l’affidabilità di Android.

Tradotto dal “corporatese”: ci serve per far funzionare tutto, quindi fidatevi.

Hanno anche provato a minimizzare, dicendo che la quantità di dati trasmessi era inferiore a quella di una singola foto. Peccato che la giuria non ci sia cascata, dando ragione su tutta la linea agli avvocati dei consumatori, che hanno parlato di una vittoria storica nel riconoscere i dati cellulari come una proprietà dell’utente.

E ora la vera domanda è: cosa succede adesso?

Stiamo parlando solo di una multa o c’è dell’altro sotto?

Perché questa sentenza potrebbe cambiare le regole del gioco

Questa non è solo una questione di soldi.

La sentenza crea un precedente legale potentissimo, che stabilisce un principio sacrosanto: i dati sul tuo telefono sono tuoi, non una risorsa a cui le Big tech possono attingere a piacimento. È il concetto di “data-as-property”, che fino a ieri sembrava teoria e oggi è legge, almeno in California.

E non è finita qui: c’è già una causa federale in coda, che copre tutti gli altri stati americani e che potrebbe portare a risarcimenti ben più pesanti. Google, ovviamente, ha già annunciato che farà appello, ma il segnale è forte e chiaro.

Forse, finalmente, il rapporto di forze tra chi usa la tecnologia e chi la controlla sta iniziando a cambiare.

Anita Innocenti

Sono una copywriter appassionata di search marketing. Scrivo testi pensati per farsi trovare, ma soprattutto per farsi scegliere. Le parole sono il mio strumento per trasformare ricerche in risultati.

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