Le regole del digitale stanno cambiando.
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Contattaci ora →Ma l’automazione spinta di interi flussi di lavoro solleva interrogativi sul controllo dei processi e sulla dipendenza da un’unica azienda tecnologica.
OpenAI ha lanciato un nuovo "agente" integrato in ChatGPT, promettendo di rivoluzionare il lavoro automatizzando compiti complessi dall'inizio alla fine. Questa mossa strategica solleva interrogativi cruciali sull'impatto per il business e la SEO, mettendo in discussione efficienza, controllo dei dati e la crescente dipendenza dalle big tech.
Ma cosa fa, in pratica, questo nuovo agente IA?
In parole povere, questo agente è pensato per essere autonomo. Gli dai un obiettivo – come “analizza i miei tre principali competitor online e prepara una presentazione con i loro punti di debolezza” – e lui dovrebbe mettersi al lavoro.
Come ti ho già scritto qui, l’agente può navigare sul web, leggere documenti, analizzare dati e persino creare file modificabili come presentazioni o report. Addirittura, può collegarsi ad altri strumenti come la tua casella email o il calendario per organizzarti la giornata, a patto che tu gli dia il permesso, ovviamente.
La promessa è quella di automatizzare non solo le piccole attività, ma interi flussi di lavoro che oggi richiedono ore di intervento umano. Pensa a un report settimanale sulle vendite: potresti programmarlo per averlo pronto ogni lunedì mattina, senza muovere un dito.
Bello, vero?
Forse troppo.
Perché quando deleghi così tanto, stai anche cedendo un bel pezzo di controllo.
E questo ci porta dritti al punto successivo, quello che interessa a te e al tuo business.
L’impatto sul business e la SEO: non è più un gioco
Qui le cose si fanno serie.
Se questi agenti diventeranno il modo in cui le persone (e le macchine) cercano informazioni e completano azioni, il tuo sito web deve farsi trovare pronto. E non parlo della solita ottimizzazione SEO. Parlo di un cambiamento radicale.
In pratica, OpenAI ci sta dicendo: “Se vuoi che i miei agenti capiscano chi sei e cosa offri, devi strutturare le tue informazioni in un modo che piaccia a loro”.
Questo significa che contenuti disorganizzati o poco chiari verranno semplicemente ignorati. La chiarezza e la struttura dei dati non sono più un’opzione, diventano una condizione per esistere online, come scrive Roger Montti.
L’impatto sull’efficienza operativa è l’altra grande promessa. Alcune analisi parlano di una potenziale riduzione dei tempi per attività di routine fino al 50%.
Ma a quale prezzo?
Affidare la stesura di un report o la gestione delle comunicazioni a un’IA solleva domande sulla qualità e sull’autenticità del risultato.
Un’analisi di mercato fatta da un’intelligenza artificiale avrà mai l’intuizione o la profondità di un professionista che conosce il settore da vent’anni?
Il dubbio è legittimo, soprattutto perché ci porta all’ultima, e forse più importante, riflessione.
La promessa di efficienza e i dubbi che nessuno esprime
Mentre OpenAI ci vende un futuro di automazione e produttività, è nostro dovere chiederci cosa c’è dietro.
Stiamo davvero ottimizzando il nostro lavoro o stiamo diventando sempre più dipendenti da un’unica, gigantesca azienda tecnologica che detta le regole del gioco?
Affidare compiti così strategici a una “scatola nera” significa anche perdere il controllo sui processi e, potenzialmente, sul nostro stesso know-how.
Siamo sicuri di voler delegare l’analisi della concorrenza a un’entità che non possiede un briciolo di esperienza reale nel nostro settore?
E chi ci garantisce che i dati che l’agente raccoglie per noi non vengano usati, in qualche forma, per addestrare i modelli futuri, magari a vantaggio di un nostro competitor?
La privacy e la sicurezza dei dati aziendali diventano un campo minato.
La verità è che questa mossa di OpenAI non è solo un’innovazione tecnologica. È una mossa strategica potentissima per consolidare il proprio dominio, costringendo di fatto l’intero mondo digitale ad adattarsi alle sue regole.
La vera sfida, per imprenditori e professionisti come te, non sarà tanto imparare a usare questi nuovi strumenti, ma capire come farlo senza farsi usare da loro.
L’idea è affascinante, ma la dipendenza da un unico fornitore per l’automazione completa dei processi merita un’attenta valutazione.
Automazione? Ottimo. Finché qualcuno si assume la responsabilità quando qualcosa va storto.
L’agente fa cose. Utile, certo. Ma la licenza? E se cambia le regole? Occhio.
Ah, l’agente autonomo che naviga il web per noi. Meraviglioso. Finché non decide che il nostro competitor ha un punto di debolezza che coincide con la nostra intera infrastruttura. L’efficienza, certo, ma a quale prezzo per la nostra sanità mentale?
Certo che l’agente naviga il web e fa presentazioni. La domanda è: a che prezzo? E chi controlla se la presentazione è fatta bene o se i dati sono manipolati? Io direi che è un rischio che non tutti possono permettersi.
Controllo dati, sì. Dipendenza, pure. Ma il tempo risparmiato? Un game changer, se funziona.
Automazione spinta. Punto. Controllo dati. Punto. Dipendenza da un fornitore. Punto. Il tempo risparmiato è la valuta qui. Se la macchina funziona, il business vive. Altrimenti, solo rumore.
Un altro burattino tecnologico pronto a tirare le fila, mentre noi balliamo al ritmo del loro algoritmo. Chi controlla il controllore?