Uno studio rivela che il traffico proveniente da ChatGPT è poco incline all’acquisto: l’IA aiuta a capire ma non converte. Intanto il pericolo della bolla IA si fa sempre più vicino…
📌 TAKE AWAYS
Un’analisi su 973 siti e-commerce dimostra che il traffico generato da ChatGPT è appena lo 0,2% e converte pochissimo.
L’intelligenza artificiale spinge alla comprensione, non all’acquisto.
Per i brand, la sfida ora è costruire autorevolezza e fiducia fuori dal proprio sito.
Per anni, la regola non scritta è stata una sola: piacere a Google.
C’era un patto non scritto, una sorta di tacito accordo con Big G.
Tu creavi contenuti di valore, pertinenti e ben strutturati. Lui, in cambio, ti consegnava un flusso costante di clienti potenziali. Un’equazione chiara che ha definito le fondamenta di interi modelli di business, compreso il tuo.
Bene, quel patto è stato stracciato.
Quasi dal nulla, è arrivato questo ragazzino nuovo, brillante e chiacchierone, chiamato ChatGPT. Tutti ne parlano, tutti lo usano. E tu, giustamente, hai iniziato a sudare freddo.
Ti sarai chiesto: E adesso? Tutto il mio lavoro andrà in fumo?
Devo ricominciare da capo?
E soprattutto, questa IA mi porterà clienti o mi ruberà solo tempo e sonno?
Sei confuso, senti l’urgenza di agire ma non sai da che parte iniziare.
Lo capisco.
Il mio scopo però non è offrirti una formula magica, perché non esiste.
È fornirti una lettura lucida dei fatti, basata su dati e analisi rigorose, per capire le nuove dinamiche di potere che governano la visibilità online.
Perché la domanda che dobbiamo farci non è se l’IA ci renderà più visibili, ma se (e come) ci aiuterà a vendere.
Il commesso più saputello del mondo (che ti fa andare via a mani vuote)
Partiamo da un fatto, nudo e crudo, che smonta il 90% dell’entusiasmo da conferenza tech.
Il traffico che arriva da ChatGPT, oggi, non converte.
Lo hanno messo nero su bianco due ricercatori, Maximilian Kaiser dell’Università di Amburgo e Christian Schulze della Frankfurt School of Finance & Management.
Hanno analizzato i dati di 973 siti e-commerce, per un fatturato complessivo di 20 miliardi di dollari. Non proprio una ricerca fatta su “startup da garage”.
I risultati sono un pugno nello stomaco per le groupies dell’IA.
Il traffico proveniente da ChatGPT è un misero 0,2% del totale.
Praticamente invisibile.
Specialmente paragonato a Big G!

Ma il dato che deve farti riflettere è un altro: chi arriva sul tuo sito da un chatbot è un “turista annoiato”.
Guarda, si informa, ma non compra.
Il suo tasso di conversione è drammaticamente più basso di quello della ricerca organica di Google.
Solo le sponsorizzate sui social media, storicamente le meno efficaci, riescono a fare peggio.

Immagina di avere nel tuo negozio il commesso più preparato del pianeta.
Conosce a memoria ogni specifica tecnica, sa raccontarti la storia di ogni prodotto e risponde a ogni tua obiezione con una logica impeccabile.
L’utente passa un’ora con lui, affascinato.
Poi gli stringe la mano, dice “Grazie, chiarissimo!” e se ne va a comprare il prodotto su Google…
Ecco, questo rischia di essere ChatGPT per l’e-commerce oggi.
Un incredibile strumento di ricerca pre-acquisto, non un canale di vendita.
L’informazione è morta, lunga vita all’opinione!
Ok, ma perché succede questo? Perché l’utente non finalizza l’acquisto?
Semplice: perché l’IA non spinge a comprare, ma a capire.
È imbattibile nei cosiddetti contenuti evergreen: testi informativi sempre validi nel tempo, come “cos’è il grounding”, “come funziona una VPN” o “migliori film horror anni ’80’”.
Sono articoli pensati per dare risposte, non per vendere.
La teoria di Kevin Indig, analista di Growth Memo è tanto semplice quanto dirompente.
L’intelligenza artificiale sta distruggendo il valore di un intero universo di contenuti: quelli “evergreen”.
Hai presente le guide definitive, gli articoli “Cos’è X” o “Come funziona Y”?
Per anni sono stati l’oro della SEO. Erano contenuti informativi, sempre validi.
L’esempio perfetto è Wikipedia.

Il problema?
Oggi l’IA può darti quelle stesse informazioni in tre secondi, senza che tu debba cliccare su un solo link.
Infatti, Wikipedia ha visto crollare il suo traffico da Google del 35%.

Le AI Overviews di Google saccheggiano i suoi contenuti, li riassumono e li servono all’utente su un piatto d’argento, bypassando completamente il sito.
Mentre il valore dell’informazione pura crolla, un altro tipo di contenuto sta diventando preziosissimo: quello “additivo”.
Parliamo di contenuti che aggiungono qualcosa di nuovo al mondo: opinioni forti, esperienze personali, ricerche originali, dibattiti accesi, dati inediti.
L’IA non può (ancora) replicare un punto di vista unico o una storia vissuta. Per questo piattaforme come Reddit, YouTube e i forum specializzati stanno vivendo una nuova giovinezza: sono miniere di umanità, di conversazioni reali.
Per te, questo significa una cosa sola: l’era del tuo blog come una piccola enciclopedia di settore è finita.
Se vuoi esistere agli occhi dell’IA, devi smettere di dare risposte e iniziare a porre domande.
Devi offrire prospettive, non definizioni. Devi raccontare storie, non elencare fatti.
Chi parla di te quando non sei nella stanza?
Se l’IA premia l’opinione e il dibattito, la visibilità del tuo brand viene decisa da una nuova, potentissima giuria: gli altri.
La tua autorevolezza non è più determinata da quello che dici tu sul tuo sito, ma da quello che il resto del web dice di te.
Il report di Oshen Davidson su AirOps è una sentenza.

Analizzando 21.000 citazioni di brand su ChatGPT, Claude e Perplexity, ha scoperto che l’85% delle volte che un marchio viene menzionato, la fonte non è il sito ufficiale, ma un sito di terze parti.

Un articolo su un magazine, una recensione su un blog, una lista comparativa. L’eco della tua reputazione è diventato nove volte più potente della tua stessa voce.
A rendere il puzzle ancora più diabolico ci pensa Louise Linehan di Ahrefs in un pezzo del 28 ottobre 2025.
Ha analizzato le 1.000 pagine più citate da ChatGPT e ha scoperto due cose che ti faranno venire i brividi.
Primo: il 67% di queste pagine appartiene a fonti che non puoi influenzare.

Pensa a Wikipedia, alle pagine di download degli app store, alle home page di colossi come Apple o Microsoft. Sono muri invalicabili per il marketing. Solo un misero terzo delle citazioni proviene da blog, testate o siti di recensioni con cui puoi, in teoria, collaborare.
Secondo, e forse ancora più scioccante: il 28% delle pagine più citate dall’IA non ha alcuna visibilità su Google. Zero traffico organico.
Questo significa che l’IA ha i suoi criteri, che spesso ignorano le metriche SEO tradizionali come i backlink o il traffico. Privilegia la pertinenza, la specificità o la novità, creando un campo di gioco parallelo e imprevedibile.
La bolla da un triliardo di dollari
Mentre cerchiamo di decifrare queste nuove regole, un’ombra si allunga su tutto il settore.
E se questa febbre dell’oro fosse solo l’ennesima, colossale bolla tecnologica?
Parliamo di aziende come Nvidia che ha raggiunto una vertiginosa valutazione da 4 trilioni di dollari, e di OpenAI, per cui gli analisti ipotizzano un’IPO (offerta pubblica iniziale) da un trilione.
Questa montagna di denaro, secondo l’analisi di Brian Merchant su Wired, non è un segno di salute, ma il sintomo di una bolla speculativa perfetta.
Gli ingredienti ci sono tutti.
Primo: l’incertezza sul modello di business è totale.
Le aziende bruciano miliardi senza un percorso chiaro verso la redditività. Questa voragine finanziaria è mascherata da narrazioni quasi messianiche – l’IA sempre più vicina all’AGI, l’IA che curerà le malattie e salverà il pianeta – una retorica potentissima che attira sciami di investitori inesperti.
Il risultato? Un’abnorme concentrazione di capitali su un pugno di giganti, alimentando un ecosistema febbrile e autoreferenziale.
È uno schema che la storia ha già visto.
La radio negli anni ’20, la bolla dot-com alla fine degli anni ’90: tutti hanno seguito lo stesso copione di euforia irrazionale seguita da un crollo rovinoso.
Ma – e questo è il punto che devi afferrare – il crollo non segna mai la fine della tecnologia.
Segna la fine della sua fase adolescenziale e speculativa.
Dopo lo scoppio della bolla internet nel 2000, ad esempio, il mercato si è ridimensionato: migliaia di startup sono fallite, ma da quel riassestamento sono nate realtà solide come Amazon, Google o eBay. La stessa logica si applicherà all’intelligenza artificiale.
Quando l’attuale bolla si sgonfierà – e accadrà, perché nessun mercato può sostenere all’infinito valutazioni basate più sulle aspettative che sui profitti – resteranno in piedi solo i progetti capaci di trasformare davvero i capitali in valore d’uso: applicazioni concrete, modelli di business sostenibili, infrastrutture integrate nei processi produttivi.
Se vuoi approfondire l’argomento ne abbiamo parlato diffusamente qui con Andrea Daniele Signorelli, giornalista di Wired.
In altre parole, l’IA non scomparirà.
Diventerà parte dell’economia reale, non più un oggetto di culto finanziario o un simbolo ideologico del “progresso inevitabile”.
Come accadde a internet, passerà dall’essere una promessa astratta al diventare un servizio essenziale.
Il punto non è se la bolla scoppierà, ma cosa resterà in piedi dopo. E ciò che resterà sarà, come sempre, la tecnologia ripulita dalla sua retorica: più utile, più concreta, più vera.
Dalla logica dei contenuti a quella dell’autorevolezza: il vero cambio di passo per chi vuole contare
No, non devi chiudere bottega. Ma devi smettere di giocare secondo le vecchie regole, perché il campo è cambiato. Il tuo brand, per sopravvivere e prosperare, deve seguire un nuovo manuale.
Primo: Smetti di essere un libro di testo, diventa un leader di pensiero.
Non limitarti a spiegare cosa fai. Spiega perché lo fai in un certo modo. Pubblica ricerche, condividi i tuoi dati, racconta i fallimenti e i successi dei tuoi clienti. Crea contenuti che gli altri vorranno citare perché sono unici, originali e coraggiosi.
Secondo: La tua reputazione si costruisce fuori casa, off site.
La tua strategia di contenuti non può più fermarsi ai confini del tuo sito. Devi attivamente cercare di essere menzionato, recensito e discusso dalle voci autorevoli del tuo settore. Collabora, offri pareri, partecipa a podcast, diventa una fonte per i giornalisti. Costruisci relazioni, non solo link.
Terzo: Pensa come un investitore a lungo termine, non come uno speculatore. Non rincorrere l’ultima novità tecnica. Concentrati sulla costruzione di un brand solido, con un’identità chiara e una reputazione inattaccabile. Saranno questi gli asset che sopravvivranno allo scoppio della bolla e che le future generazioni di IA riconosceranno come autorevoli.
La transizione non sarà facile. Richiede un cambio di mentalità profondo.
Ma la scelta è semplice: adattarsi o scomparire.
Chi saprà evolvere, passando dalla logica dei contenuti alla logica dell’autorevolezza, non solo sopravvivrà al nuovo ecosistema dominato dall’IA, ma ne diventerà parte attiva.
Se vuoi costruire una strategia capace di resistere al rumore e di posizionare il tuo brand come una voce riconosciuta, rivolgiti alla nostra agenzia: ti aiuteremo a ripensare il modo in cui comunichi, a valorizzare ciò che ti distingue e a creare contenuti che parlano agli algoritmi ma, soprattutto, alle persone.
ChatGPT fa vendere molto meno di Google: domande frequenti
Perché il traffico proveniente da ChatGPT non genera vendite significative?
Secondo una ricerca condotta su 973 siti e-commerce per un fatturato complessivo di 20 miliardi di dollari, il traffico proveniente da ChatGPT rappresenta solo lo 0,2% del totale e mostra un tasso di conversione molto più basso rispetto alla ricerca organica di Google. ChatGPT agisce come uno strumento di ricerca e informazione, non come un canale di vendita, perché gli utenti lo utilizzano per capire, non per acquistare.
Quali tipi di contenuti stanno perdendo valore con l’avvento dell’intelligenza artificiale?
L’intelligenza artificiale sta riducendo il valore dei contenuti evergreen, come guide, tutorial e articoli informativi del tipo “cos’è” o “come funziona”, perché può fornire risposte immediate senza bisogno di click. Al contrario, stanno acquisendo importanza i contenuti additivi, ovvero quelli che offrono opinioni, esperienze, dati originali o prospettive uniche che l’IA non può replicare.
Come cambia la costruzione dell’autorevolezza online nell’era dell’IA?
La reputazione di un brand non si costruisce più solo sul proprio sito ma attraverso ciò che gli altri dicono. L’85% delle citazioni di marchi su ChatGPT, Claude e Perplexity proviene da siti terzi come blog, riviste e recensioni. Per questo motivo, le aziende devono adottare strategie off site, puntando su collaborazioni, menzioni autorevoli e relazioni durature per consolidare la propria credibilità.

Una scommessa persa, sembra, per ChatGPT come veicolo di vendite. Se da un lato è una miniera d’oro per l’informazione, dall’altro manca quella scintilla che accende il desiderio d’acquisto. Forse la vera rivoluzione sta nel contenuto che non si può copiare.
L’IA informa, ma non convince. 🤖 La bolla è vicina? 🤫
Il cane insegna il nome, ma non porta il riporto. Contenuti additivi: il vero oro. Chi ci pensa?
Caspita, questa statistica sul traffico da ChatGPT è parecchio interessante, non trovi? Fa riflettere su come l’informazione si stia spostando, ma le vendite rimangano ancorate ai canali tradizionali.
Ma che dici? ChatGPT è il futuro, altro che Google! ‘Sta roba qua è più figa, ma fa vendere poco? Strano. Boh, speriamo non sia una bolla.
Dunque, la ChatGPT, questa panacea digitale, si rivela un mero chiacchierone, incapace di trasformare le parole in denari. Una sorta di cigno nero, se vogliamo, per chi credeva nell’etere come bacchetta magica. Non temo la bolla, ma l’inutilità.
La bolla IA è più vicina di quanto pensiate. Dati certi.