Casi studio  

L’incredibile fallimento del Segway: motivi e protagonisti di un disastro perfetto.

fallimento del seaagway analisi di marketing sul lancio del prodotto

Una straordinaria invenzione

Incredibile, unico, intelligente, capace di rivoluzionare completamente il nostro concetto di mobilità: così, nel lontano 2001, ci era stato presentato il Segway, attraverso una campagna pubblicitaria epica che aveva coinvolto tutti i media, creando un grandissimo bacino di interesse. Descriverlo a parole, allora come oggi, è un’impresa ardua: a metà strada tra scooter elettrico e monopattino intelligente, il Segway è un mezzo a trazione elettrica il quale, attraverso dei semplicissimi movimenti del conducente, permette di spostarsi agevolmente e in modo del tutto rispettoso dell’ambiente. Un’invenzione davvero straordinaria, il cui esito però è stato a dir poco deludente: forti degli immensi investimenti iniziali (tra i 90 e i 176 milioni di dollari) il primo anno i produttori puntarono ad un fatturato di 9 milioni, arrivando però alla ben più misera cifra di 800mila dollari. E ancora, se nei primi 12 mesi l’obiettivo dichiarato era quello di vendere più di 50mila esemplari, due anni dopo la cifra era ferma a soli 6mila pezzi, i quali, come vedremo, furono persino richiamati dalla casa produttrice. Una partenza sbagliata? Molto, molto peggio: a 15 anni di distanza dal suo ingresso sul mercato, infatti, siamo tutti concordi del decretare il fallimento del Segway.

Il lancio del Segway

Ma cominciamo dall’inizio: Dean Kamen, l’inventore del Segway, presentò il prototipo il 3 dicembre del 2001, annunciando orgogliosamente che la sua creazione «sarebbe stata per le automobili quello che le automobili furono per i cavalli». Insomma, fin dall’inizio il livello di attesa era stato spinto a vette himalayane: dapprima l’invenzione del secolo si chiama ‘Ginger‘, per poi adottare, al momento del lancio, il nome Segway, dall’inglese segue (ovvero ‘passaggio armonioso’). Per effetto diretto e indiretto del lancio promozionale, le immagini dei primi Segway finirono ovunque, dalla stampa alla televisione: il mondo imparò così a conoscere, attraverso le fotografie e i video, questo mezzo dotato di due ruote parallele e un complicato sistema di giroscopi, il quale permette al monopattino di restare in perfetto equilibrio. Con i suoi 20 chilometri orari di velocità massima e la sua linea veramente cool, il Segway aveva già conquistato moltissime persone ancor prima di arrivare sul mercato. In queste primissime fasi del lancio del prodotto, presentire l’enorme fallimento del Segway era praticamente impossibile: uno dei suoi primi investitori, John Doerr, assicurava che la loro «sarebbe stata la compagnia più veloce di sempre nel raggiungere il miliardo di dollari di vendite».

I primi mesi

Forte della grande curiosità destata pressoché ovunque, Dean Kamen pensò di alzare ancora di più l’asticella, fissando come obiettivo iniziale quello di vendere almeno 50mila Segway nel solo 2002. Fino a questo punto tutto sembrava andare per il meglio: il servizio postale statunitense, per esempio, decise di acquistare dei Segway per metterli a disposizione dei propri postini. Quale migliore pubblicità avrebbe potuto spingere maggiormente questa invenzione, se non quella di un importante ente pubblico? Un’altra importante vetrina arrivò anche dalla Disney, che ne acquistò molti esemplari per la circolazione interna ai propri parchi divertimenti. Il Segway, dunque, piaceva: nonostante il prezzo non fosse assolutamente un entry level (nel 2002 Amazon lo vende a 4.950 dollari) nei primi mesi gli affari promisero bene, soprattutto grazie alle grandi aziende pubbliche e private.

L’apporto pubblicitario dei media

Nel frattempo i media continuano a sfornare pubblicità gratuita per il Segway: resterà per esempio nella storia la copertina del New Yorker che, nella primavera del 2012, riportava il disegno di Osama Bin Laden che attraversava l’Afghanistan a bordo dell’invenzione di Kamen. La televisione non fa di meno: per citare un solo caso, nell’aprile dello stesso anno, si vede uno dei protagonisti della fortunata sitcom statunitense Frasier girare per le scene a bordo di un Segway, senza tra l’altro permettere a nessun altro personaggio un giro di prova.

La beatificazione dello scooter elettrico da parte dei media, del resto, non poteva sembrare un banale errore di prospettiva: non si faceva che ripetere quello che continuava a ribadire Robert Metcalfe – nientepopodimeno dell’inventore di Ethernet – il quale affermava che il Segway era «un’invenzione più grande dei collant» se non «più grande di Internet» e addirittura «grande quasi quanto potrebbe essere la fusione nucleare a freddo». Difficilmente il lancio di questo prodotto avrebbe potuto avere un testimonial più entusiasta di Metcalfe. Eppure, come vedremo, il fallimento del Segway era già dietro l’angolo: si vocifera che, a questo punto, fossero già stati investiti circa 90 milioni di dollari nel progetto. Ma in realtà c’è chi spara molto più in alto: UsaToday, nel 2006, calcolò che gli investimenti iniziali ammontassero a ben 176 milioni di dollari.

La prima batosta: la legge

Al Segway bastò però mettere una ruota all’esterno della fabbrica per incorrere nel suo primo – ma già pesantissimo – problema: a pararsi contro il suo successo fu infatti la legge, la quale non sapeva in quale categoria collocarlo. È un monopattino o uno scooter? Può transitare sui marciapiedi o deve stare sulla strada, insieme agli altri veicoli? Può entrare nelle aree pedonali? Da una parte infatti questo mezzo è troppo veloce per muoversi in mezzo ai pedoni, ma allo stesso tempo è troppo leggero e strutturalmente insignificante per essere messo nel bel mezzo di una strada trafficata. Quello stesso prodotto che doveva rivoluzionare il modo di spostarsi di milioni di persone in tutto il mondo, dunque, si ritrovò vergognosamente immobilizzato tra il marciapiede e la carreggiata: iniziò qui, sul ciglio della strada, il lungo e sfortunato percorso che portò al fallimento del Segway.

La seconda batosta: la caduta di Bush

Alla voce tonante della legge fece da coro quella sussurrata dei consumatori: nonostante l’indubbio potenziale del Segway, infatti, nemmeno i supposti clienti privati ne capirono del tutto il preciso impiego. È un vero e proprio mezzo, da utilizzare per spostarsi da casa a lavoro, o è più qualcosa con la quale divertirsi, come una versione super tecnologica di uno skateboard? A dare il secondo strattone alle velleità miliardarie della Segway Inc. fu però un avvenimento che nessuno avrebbe potuto prevedere e che, manco a dirlo, causò molto scalpore: l’allora presidente degli Stati Uniti George W. Bush fu infatti immortalato mentre, alla guida di un Segway, cadeva rovinosamente a terra. I media internazionali andarono a nozze con questa frivola notizia, pubblicando a non finire la foto-sequenza dell’evento. Di certo fu un mare di pubblicità gratuita: quanto però alla positività di questa battage, ai posteri – ovvero a noi – l’ardua sentenza.

Il fallimento del Segway

Da questo punto in poi il fallimento del Segway è già di fatto segnato. Un’ulteriore tegola sulla testa arrivò però nel settembre del 2003, quando la compagnia dovette richiamare circa 6.000 esemplari per un problema tecnico: si scoprì infatti che, all’approssimarsi dell’esaurimento della batteria, il Segway portava alla perdita di equilibrio del conducente, e quindi a potenziali incidenti, del tutto simili a quello accaduto a George W. Bush sotto gli occhi esterrefatti del padre George H. W. Bush.
Dopo questa batosta la risalita divenne ancora più difficile. Nel 2004 il Wall Street Journal affermò che i fondi della Segway erano ormai finiti, e che per questo Kamen era costretto a ipotecare il proprio stabilimento, una fabbrica realizzata nel 2002 per produrre più di 40mila Segway al mese: inutile precisare che tale cifra non fu mai raggiunta. Stando ai registri del New Hampshire, da questa ipoteca la compagnia riuscì a ottenere 3,2 milioni di dollari. Per risalire la china si decise quindi di puntare su nuovi mercati, creando modelli di scooter elettrici pensati appositamente per i campi da golf e per gli spostamenti dei poliziotti. Il fallimento del Segway, come abbiamo detto, era però già delineato: dopo anni di faticosa amministrazione, il CEO James Norrod lasciò la compagnia, la quale venne acquistata nel 2009 dall’imprenditore britannico James Heselden.

Un’altra caduta da 10 milioni di dollari

Quella di Bush non fu l’unica caduta a percuotere l’immagine e le finanze del Segway: nel 2009, anno in cui la compagnia passava nelle mani di Heselden, un altro incidente fece infatti molto scalpore. Tutto accadde ad una festa di beneficenza, nel corso della quale era stata organizzata una ‘Segway Challenge‘, una complessa gara ad ostacoli a bordo di un Segway: sfortuna – ma soprattutto pessima organizzazione – volle che che uno dei conducenti volontari cadesse a terra senza indossare il caschetto obbligatorio. Ma furono proprio i rappresentanti della Segway a dimenticare le protezioni, e a dare comunque il beneplacito alla gara: morale della favola, la compagnia si trovò a dover rimborsare 10 milioni di dollari alla vittima dell’incidente, la quale dopo la caduta perse del tutto il senso dell’olfatto. E questa non fu che una delle tante sfortune che concorsero nel portare al fallimento del Segway.

La Segway Inc., oggi

La cattiva sorte non sembra però aver finito la sua opera con il Segway: nel settembre del 2010 il corpo del magnate James Heselden viene infatti ritrovato ai piedi di un dirupo, in fondo al quale sarebbe caduto proprio mentre guidava il suo Segway. Ad oggi la compagnia Segway esiste ancora – non è infatti rarissimo vedere qualcuno sfrecciare in centro a bordo di questi mezzi – ma è del tutto ridimensionata rispetto alle aspettative iniziali: lontana anni luce dal suo sogno di vendere 50mila scooter all’anno, per ora si accontenta di rifornire qualche squadra di vigilanza privata, alcune agenzie turistiche e qualche sparuto appassionato. Nel 2015 la Segway Inc. è inoltre stata acquistata da quella che in origine doveva essere una sua agguerrita rivale, la società cinese Ninebot, la quale produce veicoli simili contraddistinti però da un prezzo significativamente più basso. Questa, in sintesi, la storia del fallimento del Segway dal 2001 fino ai giorni nostri. Ma perché il lancio di questo prodotto ha avuto degli esiti talmente negativi?

I motivi del fallimento

La tecnologia impiegata era brillante per l’epoca, e protetta da un brevetto. Oltre ad essere un mezzo di locomozione, il Segway prometteva anche uno stile di vita sostenibile e alternativo: non a caso nel mondo sono state organizzate molte feste proprio per celebrare il lifestyle Segway. La campagna pubblicitaria, come abbiamo, visto fu enorme, e soprattutto ben azzeccata, e le risorse finanziarie erano enormi E allora perché, si domanderanno ancora senza sosta gli addetti marketing del progetto, perché tutto quanto è andato a rotoli?
Per spiegare il fallimento del Segway ci sono molte risposte. Per prima cosa, tutti gli osservatori – a distanza di anni – sono concordi nell’affermare che le aspettative erano davvero troppo alte: in questo senso il reparto marketing ha davvero esagerato cavalcando l’onda della rivoluzione della mobilità. Come abbiamo già anticipato, poi, non era chiaro né il target né l’utilizzo che i potenziali clienti avrebbero potuto farne: poteva infatti piacere a tutti, ma in pochi avrebbero potuto trarne un reale giovamento dopo aver speso circa 5.000 dollari per il suo acquisto. Viene quasi da pensare che non siano stati fatti dei veri e propri focus group prime del lancio del prodotto.

Oltre a tutto questo, non bisogna dimenticare il problema costituito dai codici della strada: è infatti plausibile che un mezzo di trasporto rivoluzionario non possa essere inserito in men che non si dica nella legge esistente, ma è del tutto inaccettabile che la società produttrice faccia finta di non accorgersi del problema fino a quando non se ne accorge il consumatore. Ultimo capitale ostacolo individuato dagli osservatori è stata la rete distribuzione: per rivolgersi al grande pubblico il canale di vendita scelto fu infatti Amazon, ovvero un rivenditore del tutto anonimo e generalista, inadatto per un simile prodotto. Una maggiore interazione con il pubblico da parte del retailer, invece, avrebbe potuto garantire un accesso al mercato di tutt’altro tipo.

Conclusione

La storia del Segway dimostra, una volta per tutte e meglio di qualsiasi lezione teorica, che non esiste una sola chiave per il successo: ne esistono molte, e bisogna azzeccarle tutte, o quasi. Non basta un’invenzione straordinaria, non è sufficiente una campagna pubblicitaria mondiale. Una distribuzione sbagliata, un reparto marketing fin troppo audace e poco attento: basta questo per rovinare la migliore delle idee e compromettere inesorabilmente il lancio di un prodotto.
In termini più tecnici, si evince che la Proposta di Valore del Segway non ha saputo incontrare il proprio Segmento di Clientela: convinti di aver creato un prodotto unico, infatti, gli imprenditori hanno commesso l’errore di trascurare il cliente, il quale si è però ritrovato tra le mani un mezzo scomodo, poco intuitivo e inadatto per le strade quanto, in fin dei conti, per il marciapiede. E questa noncuranza nei confronti del cliente ha di fatto annullato il valore delle Risorse e delle Attività Chiave del brand. Oggi capiamo quindi che sì, il Segway è stato una grande invenzione, ma anche – e soprattutto – una pessima innovazione.

Roberto Serra

Mi chiamo Roberto Serra e sono un digital marketer con una forte passione per la SEO: Mi occupo di posizionamento sui motori di ricerca, strategia digitale e creazione di contenuti.

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