La battaglia antitrust USA contro Google: come potrebbe cambiare il tuo futuro online

Anita Innocenti

Una battaglia legale che solleva dubbi sulla concorrenza, la privacy e il futuro dell’innovazione tecnologica, con l’ombra dell’intelligenza artificiale sullo sfondo

Il Dipartimento di Giustizia USA intensifica la pressione su Google con rimedi drastici dopo una sentenza antitrust del 2024. Le proposte includono il cambio del motore di ricerca predefinito e la condivisione di dati. Google avverte di rischi privacy e svantaggi competitivi globali. La decisione del tribunale ridisegnerà il futuro digitale.

Le “genialate” del Dipartimento di Giustizia: cosa vogliono davvero da Google?

Immagina la scena: il DOJ arriva e, con la delicatezza di un elefante in una cristalleria, propone una serie di “rimedi” che, a detta loro, dovrebbero ristabilire la concorrenza. Peccato che, a leggerli bene, sembrano più un tentativo di smontare Google pezzo per pezzo, con conseguenze che, francamente, fanno un po’ venire i brividi.

Pensa un po’: una delle idee sarebbe quella di costringere i produttori di smartphone e browser a impostare come motore di ricerca predefinito qualcosa di diverso da Google. Bing, per esempio. Sì, hai capito bene, Bing! Ora, con tutto il rispetto, ma ti ci vedi a usare Bing di default sul tuo nuovo telefono?

E non è finita qui.

Vorrebbero anche obbligare Google a condividere i suoi segreti più intimi: algoritmi di ricerca, le tue ricerche (sì, proprio le tue!), dati pubblicitari… il tutto da spiattellare ai concorrenti, comprese aziende estere che magari non aspettano altro. Un po’ come chiedere alla Coca-Cola di dare la ricetta segreta alla Pepsi e a qualche sconosciuto produttore di bibite cinese, che te ne pare?

E se questo non bastasse, si parla addirittura di separare Chrome e Android dal cuore di Google, una mossa che, secondo Big G, farebbe lievitare i costi dei dispositivi e aprirebbe voragini nella sicurezza. Ah, e per non farsi mancare nulla, il DOJ vorrebbe pure un comitato governativo per mettere il naso nello sviluppo dell’Intelligenza Artificiale di Google.

Davvero, c’è da chiedersi se chi ha partorito queste idee abbia mai passato un pomeriggio a capire come funziona davvero il web.

Ma la vera domanda è: Google come l’ha presa tutta questa storia?

Preparati, perché la risposta non è affatto scontata.

La difesa di Google: lacrime di coccodrillo o preoccupazioni reali?

Di fronte a questo scenario, Google, come puoi immaginare, non è rimasta a guardare. Anzi, ha tirato fuori gli artigli, sostenendo che queste proposte sarebbero un disastro.

E, diciamocelo, qualche ragione potrebbero anche avercela, o almeno così vogliono farci credere. Parlano di rischi enormi per la tua privacy, perché condividere le query di ricerca con aziende terze, magari meno attrezzate sulla sicurezza, non suona esattamente come una manna per la protezione dei dati, come sottolineato sul blog ufficiale di Google.

Poi c’è la questione economica: partner come Mozilla, che campa per il 90% grazie agli accordi con Google per la ricerca, si ritroverebbero con le pezze al sedere, e magari i browser gratuiti diventerebbero un lontano ricordo.

E, ciliegina sulla torta, mentre in America si discute di come imbrigliare Google, i colossi cinesi dell’IA, tipo DeepSeek, se la riderebbero sotto i baffi, pronti a conquistare il mercato.

Ma, come in ogni buona storia, le campane sono diverse.

Da una parte, associazioni come la CCIA (Computer & Communications Industry Association) hanno storto il naso, presentando un documento in cui, in sostanza, dicono che indebolire le aziende americane rischia solo di fare un favore ai “nemici” stranieri.

Matt Schruers della CCIA lo ha detto chiaro e tondo: “I rimedi strutturali che indeboliscono le aziende statunitensi potrebbero rischiare di consegnare vantaggi economici agli avversari all’estero”, come si legge nel loro comunicato.

Dall’altra parte, però, c’è la Federal Trade Commission (FTC), un altro ente regolatore bello tosto, che invece appoggia il piano del DOJ. La FTC, come descritto nelle sue dichiarazioni ufficiali, ricorda che Google non è esattamente una santa verginella in fatto di privacy, avendo già collezionato tre “richiami” ufficiali dal 2011.

Insomma, un bel pasticcio.

E mentre tutti si scannano, la vera partita si gioca su un campo molto più vasto e decisamente più futuristico.

Tra tribunali e intelligenza artificiale: chi la spunterà in questo far west digitale?

La verità è che questa battaglia legale, per quanto importante, rischia di essere solo la punta dell’iceberg. Stiamo parlando di un gigante, Google, che muove miliardi: pensa solo ai 26 miliardi di dollari che, secondo i documenti del DOJ sui reperti processuali, sborserebbe ogni anno ad Apple solo per essere il motore di ricerca predefinito su iPhone e Mac.

Mica noccioline.

E la cosa buffa è che, quando in Europa hanno provato a mettere delle “schermate di scelta” per il browser, uno studio di Mozilla (citato sempre in quei documenti) ha mostrato che solo l’8% degli utenti ha cambiato le impostazioni predefinite.

Insomma, forse il problema è un tantino più complesso di un semplice “cambia il default e via”.

Ma il vero elefante nella stanza, quello di cui forse si parla ancora troppo poco in questi contesti legali, è l’Intelligenza Artificiale.

C’è chi sostiene, come l’Independent Institute in un suo articolo, che l’approccio del DOJ sia vecchio come il cucco, roba da età della pietra digitale, e che ingessare Google proprio ora, mentre i cinesi corrono come treni sull’IA, sia un autogol pazzesco. Pare che persino dentro Google ci sia una certa strizza per l’avanzata di ChatGPT e dei bot cinesi come Ernie di Baidu.

E con gli investimenti USA-Cina sull’IA che si stanno avvicinando (eravamo 10 a 1 per gli USA nel 2020, ora siamo a 3 a 1), capisci bene che la questione non è solo “Google sì, Google no”.

L’udienza del 15 maggio si avvicina, e la decisione del tribunale potrebbe davvero ridisegnare gli equilibri tecnologici per i prossimi dieci anni. Staremo a vedere chi avrà la visione – o la fortuna – di fare la mossa giusta in questa partita a scacchi globale.

E tu, da che parte stai?

Anita Innocenti

Sono una copywriter appassionata di search marketing. Scrivo testi pensati per farsi trovare, ma soprattutto per farsi scegliere. Le parole sono il mio strumento per trasformare ricerche in risultati.

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