Tra smentite di Google e timori di Apple, il calo del traffico Safari riaccende il dibattito sul futuro della ricerca online e sul ruolo dell’intelligenza artificiale.
Google ha smentito le voci su un calo del traffico di ricerca da Safari, mentre il dirigente Apple Eddy Cue ha testimoniato in tribunale di aver rilevato una diminuzione ad aprile 2025, il primo calo registrato. Questa incertezza, unita alla crescente popolarità delle alternative AI come ChatGPT e Perplexity, ha causato un crollo delle azioni Alphabet e sollevato interrogativi sul futuro della ricerca digitale.
Google smentisce, ma apple lancia l’allarme: che succede al traffico safari?
Allora, mettiamoci comodi perché la faccenda è di quelle che scottano.
Ieri Google ha rotto un silenzio piuttosto raro con una dichiarazione ufficiale, intitolata “Ecco la nostra dichiarazione sui resoconti stampa di stamattina riguardanti il traffico di Ricerca”.
Te lo dico chiaro e tondo:
Stanno cercando di smorzare le voci, diventate decisamente insistenti, su un presunto calo del traffico proveniente da Safari, il browser di Apple. Una dichiarazione che, diciamocelo, suona un po’ come una pezza messa in fretta e furia dopo che le azioni di Alphabet (la casa madre di Google, nel caso te lo fossi perso) hanno preso una bella batosta, crollando di oltre il sette percento.
Google, nel suo comunicato del 7 maggio, afferma: “Continuiamo a vedere una crescita complessiva delle query in Search. Questo include un aumento delle query totali provenienti dai dispositivi e dalle piattaforme Apple”, come riportato direttamente sul blog di Google.
Tutto questo bailamme nasce dalle parole di Eddy Cue, pezzo grosso di Apple (Senior Vice President of Services, per la precisione), che davanti a un tribunale federale ha sganciato la bomba: il traffico di ricerca di Google, specialmente quello dagli utenti Safari, sarebbe in calo.
Addirittura, Cue ha rivelato che le ricerche su Safari sono diminuite ad aprile 2025 – il primo calo mai registrato,
una vera e propria crepa nel muro.
E la colpa?
Secondo lui, della crescente popolarità delle alternative di ricerca basate sull’intelligenza artificiale (AI), che stanno iniziando a erodere il territorio dei motori di ricerca tradizionali.
Le parole di Cue hanno avuto un effetto immediato sui mercati, con le azioni Alphabet che, come riportato su SpaceDaily.com, hanno subito quel crollo di oltre il sette percento di cui ti parlavo.
Questo riflette una certa preoccupazione degli investitori riguardo alle possibili minacce al dominio di Google nella ricerca, un dominio che, ammettiamolo, è rimasto quasi incontrastato per oltre due decenni.
E pensa che Google paga ad Apple circa 20 miliardi di dollari all’anno per rimanere il motore di ricerca predefinito su Safari, un accordo ora sotto la lente del Dipartimento di Giustizia USA in una causa antitrust.
Cue stesso ha ammesso di “aver perso il sonno pensandoci”, perché Apple potrebbe perdere una fetta significativa di questi lauti guadagni se l’accordo saltasse.
Ma la vera domanda è:
questa “crescente popolarità” delle alternative AI è
una moda passeggera
o l’inizio di una vera e propria rivoluzione?
L’ombra dell’intelligenza artificiale: la vera minaccia al dominio di Google?
Al centro di tutta questa polemica c’è l’ascesa rapidissima di alternative di ricerca potenziate dall’intelligenza artificiale, che stanno cambiando radicalmente il modo in cui noi utenti accedono alle informazioni online.
Aziende come Anthropic, OpenAI e Perplexity stanno entrando prepotentemente nel mercato della ricerca con offerte che forniscono risposte più dirette invece delle solite liste di link.
E non parliamo di quisquilie.
Secondo il Consumer Behavior Index di SOCi Inc., come dettagliato da SiliconAngle, ben il 19% dei consumatori ha già abbandonato i motori di ricerca tradizionali per opzioni basate sull’AI.
È la prima vera sfida seria al dominio di Google in oltre vent’anni, capisci?
Gli utenti sono sempre più attratti dagli assistenti AI perché analizzano più siti web contemporaneamente e forniscono risposte concise e contestualizzate alle query, eliminando la necessità di cliccare su vari link e cercare informazioni all’interno delle pagine.
Pensa che, stando a quanto riferito da Arab News, ChatGPT da solo gestirebbe oltre 1 miliardo di ricerche web settimanali e vanterebbe più di 400 milioni di utenti attivi settimanali a febbraio.
Cifre da capogiro,
che fanno sembrare quasi ridimensionate le rassicurazioni di Google sulla crescita generale delle sue query, attribuita a funzioni come la ricerca vocale e visiva (sempre secondo Arab News).
Qui la domanda sorge spontanea:
Google sta minimizzando un problema reale o queste nuove tecnologie sono ancora troppo immature per impensierire davvero il gigante di Mountain View?
Insomma, il terreno sotto i piedi di Google sembra tremare.
E Apple, che fiuta l’aria come pochi,
come sta reagendo a questa potenziale tempesta?
Apple corre ai ripari (e google trema?): verso una rivoluzione della ricerca?
Di fronte alla potenziale interruzione del suo accordo da 20 miliardi di dollari annui con Google, sembra che Apple stia valutando cambiamenti significativi per il suo browser Safari. Lo stesso Eddy Cue ha confermato che Apple sta “attivamente esaminando” come reimmaginare la gestione della ricerca su Safari, con un interesse particolare per l’integrazione di piattaforme di ricerca guidate dall’IA di aziende come OpenAI, Perplexity AI e Anthropic. Però, attenzione, Cue ha anche precisato che questi strumenti AI, sebbene promettenti, non dovrebbero diventare l’opzione di ricerca predefinita su Safari nell’immediato futuro, poiché richiedono ancora ulteriore sviluppo per soddisfare gli standard, notoriamente elevati, di Apple.
Ma la disputa sul traffico di ricerca si inserisce in un contesto di comportamenti degli utenti in continua evoluzione.
E non dimentichiamoci che, come evidenziato da The Creative Branch (TIC Creative), oltre il 50% delle ricerche avviene già tramite voce attraverso dispositivi come Google Nest, wearable abilitati all’Assistente e auto intelligenti, mentre l’uso da mobile continua a crescere, con il 62% del traffico web nel Regno Unito proveniente da smartphone.
Quindi, mentre Google sostiene che il suo volume di ricerca continua a crescere complessivamente, la testimonianza del dirigente Apple suggerisce che potrebbe essere effettivamente in corso un cambiamento significativo nel comportamento di ricerca, uno che potrebbe alterare radicalmente il panorama della pubblicità digitale dove Google è da tempo il protagonista indiscusso.
Capisci bene che la posta in gioco è altissima: da una parte Google che deve difendere il suo core business, dall’altra Apple che esplora alternative per sostituire potenzialmente una fonte di guadagno mica da ridere.
Staremo a vedere chi avrà la visione – e la tecnologia – per ridefinire il futuro della ricerca.
Tu da che parte stai?