Gemini 2.5 promette meraviglie, ma tra costi nascosti e “intelligenza a gettone”, resta da capire chi beneficerà davvero di questa rivoluzione AI
Al Google I/O 2025, Sundar Pichai ha presentato un'Intelligenza Artificiale "più utile". Le novità includono Gemini 2.5 Pro e Flash, il GenAI SDK per creare app da testo e il costoso Google Beam (ex Starline). Annunciato anche il progetto scientifico DolphinGemma. La strategia mira a monetizzare l'AI, sollevando interrogativi su chi avrà accesso a queste tecnologie avanzate.
Gemini: più veloce, più “intelligente”… o solo più bravo a vendersi?
Al centro della scena, come prevedibile, c’è stata la nuova versione del loro modello AI di punta, Gemini 2.5. Demis Hassabis di DeepMind ci ha illustrato le mirabilie della variante Pro, con capacità di ragionamento potenziate e un fantasioso “thinking budget”, che tradotto dal politichese significa che costerà meno se la fai pensare di meno.
Un po’ come dire: vuoi l’intelligenza artificiale, ma magari non troppa, che poi costa.
La versione Flash, invece, promette elaborazione audio in tempo reale in 24 lingue, il che, ammettiamolo, non è male per le applicazioni conversazionali. E non è finita: Josh Woodward, VP di Google Labs, ha sfoggiato il GenAI SDK, capace, a suo dire, di generare app web complete partendo da semplici input testuali, come riportato sul blog per sviluppatori di Google.
Immagina la scena: tu scrivi due righe e puff, l’app è servita.
Fantastico, vero?
Ma la qualità di queste app generate al volo? E i programmatori, quelli veri, che fine faranno se basta un “prompt” per sostituirli?
Poi, certo, c’è il contentino: tre mesi di accesso a Google One AI Premium per gli sviluppatori. Un gesto generoso o un modo per legare ancora di più all’ecosistema Google chi già ha risorse da investire, lasciando le briciole agli altri? Come sottolineato nella collezione di annunci dell’I/O sul blog ufficiale Google, l’integrazione è la parola d’ordine, ma integrazione per chi, e a quale prezzo?
Ma se l’AI diventa così “semplice” da usare, con SDK che sfornano codice e modelli che “pensano” a comando (e a gettone), cosa distinguerà più un vero professionista da chi si limita a premere un bottone?
E, domanda ancora più spinosa, chi si prenderà la briga di controllare la qualità e, soprattutto, l’etica di ciò che viene prodotto con questa apparente facilità disarmante?
Google beam e i delfini “aumentati”: quando la tecnologia serve più all’immagine che all’utente comune
Poi ci sono state le chicche, quelle tecnologie che ti fanno dire “wow”, ma che poi ti chiedi a chi serviranno davvero. Prendi Project Starline, ora ribattezzato Google Beam: la videoconferenza 3D che sembra uscita da un film di fantascienza. Bello, per carità, vedersi in ologramma con il collega dall’altra parte del mondo.
Ma chi potrà permetterselo?
Le grandi aziende, ovviamente.
I prezzi?
Silenzio assoluto, come sempre quando si parla di giocattoli per pochi eletti. Engadget fa notare come la partnership annunciata con HP puzzi lontano un miglio di prodotto destinato al mondo corporate, tagliando fuori i comuni mortali.
E poi c’è stata la sorpresa, DolphinGemma, un progetto sviluppato in collaborazione con Georgia Tech e il Wild Dolphin Project per analizzare decenni di dati sulla comunicazione dei delfini. La dottoressa Denise Herzing, fondatrice del progetto, l’ha definito “un cambio di paradigma nella ricerca interspecie”.
Suona nobile, no?
Aiutare la scienza, capire gli animali… tutto molto bello.
Però, diciamocelo francamente: quanto di questa operazione è autentica passione per i cetacei e quanto è, invece, una furbissima mossa di marketing per dipingere Google come la paladina dell’ambiente e della ricerca scientifica d’avanguardia? Mentre ci mostrano queste meraviglie, magari si aprono anche dibattiti un po’ scomodi sul rischio che queste tecnologie si trasformino in strumenti di sorveglianza ecologica un po’ troppo invasiva. E mentre ci si perde tra ologrammi e presunti dialoghi con i delfini, quali sono le vere priorità di Google per noi, utenti e sviluppatori che sgobbiamo tutti i giorni con problemi ben più terra terra?
Monetizzare l’AI: la nuova frontiera di Google (e le nostre tasche)
Passiamo alle cose ‘concrete’, quelle che dovrebbero toccarci più da vicino. Google Meet, per esempio, si arricchisce della traduzione in tempo reale. Hanno mostrato una demo spagnolo-inglese che, dicono, manteneva perfino la cadenza del parlato.
Utile, senza dubbio.
Peccato che Skype Translator, se la memoria non mi inganna, faceva cose simili già nel 2014.
Insomma, arrivano un po’ lunghi, no?
La beta per lo spagnolo, ci informano, è in arrivo questa settimana, ma per avere un supporto multilingua completo ci toccherà aspettare il terzo trimestre del 2025.
La strategia di fondo, comunque, appare sempre più chiara: meno progetti ‘lunari’ e campati per aria, e più prodotti con un chiaro percorso verso la monetizzazione. Un po’ come sta facendo Microsoft con il suo Copilot Studio.
E così, anche Google AI Studio si aggiorna, integrando l’editing di codice nativo con la preview di Gemini 2.5 Pro, come annunciato sul blog Google dedicato agli sviluppatori AI.
Un altro modo per attirarci (o ingabbiarci?) nel loro ecosistema, fornendoci strumenti sempre più integrati ma, guarda caso, sempre più legati ai loro servizi a pagamento.
Gemini 2.5 Flash sarà disponibile a giugno, seguito a ruota dalla versione Pro.
Ma in un’arena dove colossi come OpenAI con GPT-5 e Anthropic con Claude 3.5 non stanno certo a guardare, questa rincorsa di Google basterà a convincere il mercato?
O si tratta dell’ennesimo tentativo di posizionare Gemini come LA piattaforma definitiva, facendoci magari pagare un sovrapprezzo per strumenti che, alla fine, promettono di fare quello che già facevamo, solo con un po’ più di “intelligenza” artificiale sparsa qua e là?
La vera domanda, quella che Sundar Pichai (stando a quanto riportato sul keynote dell’I/O) elegantemente glissa, è:
tutta questa AI “più utile, azionabile e personalizzata” sarà davvero al nostro servizio, o finiremo per essere noi al servizio dei loro nuovi, scintillanti (e costosi) modelli di business?
Staremo a vedere, con il solito scetticismo di chi ne ha già viste tante.