SEO Confidential – La nostra intervista esclusiva a Danny Goodwin di Search Engine Land

“La risposta è nei modelli di spazio vettoriale: per la SEO semantica non c’è altra strada”, ci ha detto Danny

Premi play e ascolta l’intervista in breve

Benvenuti alla decima puntata di SEO Confidential, la rubrica pensata per imprenditori e PMI che vogliono comprendere e affrontare con chiarezza le complesse sfide del marketing digitale.

Dopo l’illuminante conversazione con Pete Meyers di Moz, oggi abbiamo l’onore di ospitare un’altra figura di spicco della comunità SEO internazionale: Danny Goodwin, Direttore Editoriale di Search Engine Land.

Con una carriera che lo ha visto alla guida di testate autorevoli come Search Engine Journal e Search Engine Watch, Danny è testimone e cronista dei più grandi cambiamenti nel mondo della ricerca online da oltre quindici anni.

In un momento in cui Google AI Overview e gli LLM stanno riscrivendo le regole della visibilità online, la sua analisi è più che mai preziosa.

Come possiamo rimanere visibili nell’era degli “zero-click“?

Che ne sarà dei nostri contenuti, ora che l’intelligenza artificiale sembra trattare il web come un buffet gratuito da cui attingere risposte?

Queste sono le domande che ogni imprenditore che lavora sul web si pone. Ho deciso di lanciare questa rubrica di interviste proprio per affrontare questi dubbi, offrendo prospettive diverse, e talvolta divergenti, per decifrare insieme il futuro della ricerca.

L’obiettivo è uno solo: trasformare l’incertezza in strategia e continuare a far crescere il proprio brand.

Danny Goodwin intervistato dal SEO Roberto Serra

“I blog non sono morti. Quelli pensati solo per monetizzare dal traffico organico, sì”

Ciao Danny, tra i miei lettori ci sono soprattutto imprenditori e responsabili di PMI che guardano con preoccupazione all’evoluzione dell’intelligenza artificiale nelle SERP. In un contesto in cui gli utenti trovano risposte senza più cliccare, molti si chiedono: è ancora possibile prosperare online senza traffico organico?

Le AI Overviews stanno accelerando l’era degli zero click, ma non è un fenomeno nuovo. Google erode traffico organico da anni, attraverso snippet in primo piano, pannelli informativi e altre funzioni che offrono risposte immediate. La vera novità è che oggi riesce a rispondere in modo molto più completo e su una gamma molto più ampia di domande, senza che l’utente debba uscire da Google.

Questo colpisce duramente i contenuti informativi, che ricevono sempre meno visite: per molte query basilari, Google fornisce già tutto ciò che serve.

Tuttavia, le ricerche di tipo navigazionale o commerciale – quelle legate a brand, prodotti o intenzioni di acquisto – continuano a generare traffico.

Dunque la sfida che ci troviamo di fronte è capire come presidiare quei punti di accesso dove il click esiste ancora e vale di più.

Google afferma che le AI Overviews generano click di maggiore qualità, ma molte analisi indicano un netto calo del CTR e delle conversioni. Chi ha ragione? E perché non esiste alcuna trasparenza su questi dati nella Search Console?

Le due cose non si escludono. È possibile che le AIOs portino un traffico più qualificato, ma allo stesso tempo è un dato di fatto che molti editori stiano perdendo tra il 20% e il 60% dei click organici.

Il punto è che Google non fornisce dati dettagliati sulle AI Overviews nella Search Console, e questo alimenta i sospetti. C’è chi pensa che non voglia mostrare quanto traffico sta trattenendo, o che i dati interni non supportino davvero le sue dichiarazioni.

La realtà? Potremmo non saperlo mai.

Se comparire nelle AI Overviews diventa sempre più importante, come si può monetizzare una presenza che non porta click diretti? So che ti occupi soprattutto di contenuti, ma i miei lettori – imprenditori e professionisti che lavorano online – vogliono capire quali strategie concrete e misurabili possono adottare per trasformare quelle menzioni in lead o vendite.

C’è chi suggerisce di affrontare la questione come si farebbe con il brand marketing: monitorare l’aumento delle ricerche legate al marchio, il traffico diretto al sito e segnali di crescita della domanda. L’obiettivo diventa misurare l’impatto indiretto della visibilità nelle AIOs, anche se mancano click tracciabili.

È una bella sfida, perché tutto sta diventando più opaco, come ha detto Jono Alderson, praticamente “è come fare marketing al buio”.

Ma investire nel rafforzamento del brand e nell’intenzione di ricerca legata al nome dell’azienda resta oggi una delle poche strategie realmente praticabili.

Danny, te lo chiedo in modo diretto: Google diventerà un chatbot? O le AI Overviews coesisteranno con AI Mode?

Per ora le due modalità coesisteranno. Ma tutto fa pensare che, nel tempo, l’AI Mode diventerà l’interfaccia principale di Google. Secondo quanto dichiarato da alcuni dirigenti, questo passaggio dovrebbe avvenire entro il 2033, anche se è probabile che accada molto prima.

Le AI Overviews attingono informazioni dai contenuti online senza riconoscere un compenso economico ai creatori, limitandosi a citarli ma sottraendo traffico ai siti. Secondo te, dovrebbe essere previsto un accordo finanziario (anche con i piccoli editori) per l’utilizzo di questi contenuti?

Beh, come sai, in alcuni casi, gli accordi esistono. Il New York Times, ad esempio, ha stretto un’intesa con Google. OpenAI ha firmato accordi simili con diversi editori.

Ma se sei un piccolo editore, le possibilità di essere pagato sono scarse. Cloudflare ha da poco proposto un nuovo modello: Pay Per Crawl, ovvero un sistema in cui i crawler delle AI dovrebbero pagare per accedere ai contenuti. È un’idea interessante, anche se non è chiaro se potrà funzionare davvero. Di certo, però, è un primo segnale che il tema della remunerazione non può più essere ignorato.

Perché oggi un proprietario di blog dovrebbe continuare a creare contenuti per Google? Un tempo almeno c’erano traffico e pubblicità. Ora sembra che si lavori gratis per Big G. Non rischiamo di impoverire il web, perdendo voci originali e critiche?

È un po’ come chiedersi: “Perché aprire un ristorante dopo che le Pagine Gialle sono sparite?”

Esistono altri modi per costruire un pubblico: social, video, newsletter, community, passaparola. Google manda ancora traffico, ma non è più l’unico canale né il più affidabile.

Il problema nasce quando si crea un blog per Google, anziché per le persone o per passione. I blog nati per condividere idee, esperienze, conoscenze continuano ad avere senso. I blog non sono morti. Quelli pensati solo per monetizzare dal traffico organico, sì.

Se i creatori di contenuti non sono più incentivati a produrre, da dove prenderanno le informazioni l’intelligenza artificiale e gli LLM? Non c’è il rischio che finiscano per diffondere solo dati vecchi e superati?

È vero: l’intelligenza artificiale tratta i contenuti disponibili online come se fossero freeware. Ma se il web smettesse di produrre nuove informazioni, le IA cesserebbero di evolversi, finendo per riciclare conoscenze già note. Per certe cose statiche – il cielo è blu, l’erba è verde – può anche andare bene. Ma per tutto il resto, no.

Detto questo, non credo che i contenuti spariranno del tutto. È più probabile che venga eliminata una parte consistente dei contenuti “me too”: quelli prodotti solo per inseguire parole chiave di tendenza, senza valore reale.

Un esempio? Il settore delle ricette, dove per anni tutti hanno pubblicato le stesse varianti delle stesse ricette, sperando di battere la concorrenza su Google.

Come si può catturare l’attenzione dell’IA e apparire autorevoli ai suoi occhi? Il famoso E-E-A-T è ancora valido o la SEO è cambiata del tutto?

La risposta migliore, secondo me, è una sola: modelli di spazio vettoriale. È lì che oggi si gioca davvero l’autorevolezza. La SEO sarebbe dovuta cambiare già da tempo, da quando Google è passato a una logica di ricerca semantica, ma molti strumenti e approcci restano legati a un’idea di ricerca puramente lessicale, basata sulle parole esatte.

Quanto all’E-E-A-T, per me è sempre stato più un concetto che una leva operativa reale. La sua origine, di fatto, risale alle linee guida sul web credibility del progetto di Stanford, che già vent’anni fa spiegavano cosa rende un contenuto credibile agli occhi delle persone.

Piccola postilla per te che leggi:

Le Stanford Guidelines for Web Credibility sono un insieme di 10 regole pratiche elaborate dal Stanford Persuasive Technology Lab nel 1999 per aiutare siti web e aziende a risultare credibili agli occhi degli utenti. Sono frutto di tre anni di ricerca su oltre 4.500 persone.

Ecco il senso in breve:

Come si costruisce la credibilità di un sito? Mostrando trasparenza, professionalità e contenuti affidabili.

Tra i punti chiave:

  • fornire fonti verificabili e link a dati esterni attendibili;
  • mostrare chiaramente chi c’è dietro al sito (azienda reale, indirizzo, contatti);
  • evidenziare competenza e autorevolezza di chi scrive;
  • curare il design e l’usabilità del sito;
  • evitare errori, pubblicità invadente e contenuti obsoleti.

Perché Danny ci ha invitato ad approfondire tutto questo?

Semplice: perché i principi individuati da Stanford sono alla base di quello che oggi chiamiamo E-E-A-T (Esperienza, Competenza, Autorevolezza, Affidabilità). Google, ancora oggi, continua a cercare segnali di credibilità simili per decidere se un contenuto merita fiducia e quindi visibilità.

Non saranno leggi scritte nella pietra come dice Goodwin, ma sono concetti tuttora imprescindibili per capire quali contenuti premia e predilige il colosso di Mountain View, anche all’epoca delle AI Overviews.

Oggi la sopravvivenza dipende dall’essere ricordati, non dall’essere visti

Dall’intervista con Danny Goodwin emerge una verità inequivocabile: la SEO si è trasformata in qualcosa di più complesso e strategico. Non stiamo solo assistendo a un calo di click, stiamo vivendo una profonda metamorfosi del concetto stesso di visibilità.

L’era in cui l’obiettivo era “creare un blog per Google” è tramontata. Come sottolinea Danny, oggi la vera sfida è costruire un brand e contenuti così autorevoli e unici da diventare la fonte primaria per le risposte generate dall’intelligenza artificiale.

L’ottimizzazione non è più solo per un algoritmo che classifica link, ma per un sistema che apprende, sintetizza e cita. Te la dico in modo un po’ brutale: se le IA non menzionano il tuo brand, il rischio è di diventare invisibili.

Danny parla di modelli di spazio vettoriale. La questione sembra complessa, per addetti ai lavori, ma in realtà è più comprensibile di quello che pensi.

Quando si parla di modello di spazio vettoriale, si intende un nuovo modo con cui Google e altri motori di ricerca capiscono il significato delle parole, delle frasi e dei contenuti online. Fino a qualche anno fa, il motore di ricerca si basava soprattutto su corrispondenze letterali: se un utente cercava “ristorante economico Milano”, Google cercava pagine che contenevano esattamente quelle parole.

Oggi invece (ed è da mo’ che lo ripeto) si parla di ricerca semantica.

Grazie all’intelligenza artificiale, Google traduce i contenuti in vettori, cioè rappresentazioni numeriche che racchiudono il significato di un testo. Questo permette al motore di ricerca di capire che “locale a buon prezzo in zona Navigli” ha lo stesso senso di “ristorante economico Milano”, anche se le parole sono diverse.

Per chi fa SEO, questo significa che non basta più inserire parole chiave precise: bisogna scrivere contenuti chiari, utili e coerenti con l’intento di ricerca. L’ho detto sino allo sfinimento: l’autorità di un sito, quindi, si costruisce offrendo valore reale, non ripetendo keyword. Ed è qui che il concetto di E-E-A-T (esperienza, competenza, autorevolezza, affidabilità) trova un terreno concreto: Google riconosce contenuti di qualità proprio attraverso questi modelli vettoriali.

La nuova SEO, quindi, parla la lingua dell’autorevolezza e della specializzazione. Non si tratta più di vincere su singole parole chiave, ma di affermarsi come un punto di riferimento in un’intera area tematica. Questo richiede un investimento strategico nella costruzione del brand, nella creazione di contenuti originali e in una distribuzione multicanale che vada oltre la semplice ricerca Google.

La domanda perciò non è più “Come arrivo primo?”, ma “Come divento la risposta?”

Non c’è dubbio quindi: il futuro appartiene a chi saprà educare l’intelligenza artificiale a riconoscere il proprio valore.

A me non resta che ringraziare di cuore Danny Goodwin per il tempo che ci ha dedicato e per le sue preziose analisi.

Ci vediamo alla prossima puntata di SEO Confidential. L’analisi sul futuro della ricerca continua.

#avantitutta

Roberto Serra

Mi chiamo Roberto Serra e sono un digital marketer con una forte passione per la SEO: Mi occupo di posizionamento sui motori di ricerca, strategia digitale e creazione di contenuti.

10 commenti su “SEO Confidential – La nostra intervista esclusiva a Danny Goodwin di Search Engine Land”

    1. Vettori? Ok. L’AI è il game changer. Chi resta indietro affonda. Pronto per il prossimo step. Chi non si aggiorna, muore. Semplice.

    1. Alessandro Lombardi

      Ah, i vettori. Altra panacea tecnologica per salvare le sorti del marketing. Chissà se stavolta non si tratta dell’ennesima fregatura per le povere PMI.

  1. Sebastiano Caputo

    Modelli vettoriali… 🙄 Altra diavoleria tecnologica. Speriamo non sia l’ennesima trappola per i nostri soldi. 💸 Non mi fido. 🤫

  2. Sebastiano Caputo

    Modelli vettoriali… 🙄 Ancora robe nuove. Pensano di sapere tutto. Ma non si fidano dei loro stessi algoritmi. Triste. 😔 Spero non ci freghino ancora una volta.

    1. Riccardo De Luca

      Spazio vettoriale, eh? Il gioco si fa duro. Speriamo non sia un altro bluff. Bisogna stare sul pezzo, altrimenti ti mangiano vivo. Diamo una chance.

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