La trasformazione in Public Benefit Corporation e la nomina di Fidji Simo come CEO delle Applicazioni basteranno a garantire un futuro più etico per OpenAI?
OpenAI annuncia a maggio 2025 una vasta ristrutturazione: l'unità profit diventerà una Public Benefit Corporation (PBC). L'obiettivo è bilanciare gli interessi commerciali con la missione di beneficio pubblico. Con Fidji Simo a capo delle applicazioni, la mossa avviene mentre OpenAI cerca 40 miliardi, generando dibattito sull'effettiva coerenza tra profitti e sviluppo etico dell'AI.
OpenAI cambia pelle: dalla corsa al profitto (forse) a un impegno pubblico
Senti questa: OpenAI, il colosso dell’intelligenza artificiale che ci ha dato ChatGPT e altre diavolerie tecnologiche, a maggio 2025 ha deciso di fare un vero e proprio terremoto interno, annunciando una ristrutturazione che, a detta loro, dovrebbe riallineare missione e struttura aziendale. Una mossa coraggiosa, certo, arrivata dopo mesi di dibattiti infuocati e con i riflettori della regolamentazione sempre più puntati addosso.
Pare che vogliano mostrarsi più responsabili e orientati al bene comune. La faccenda, però, puzza un po’ di bruciato se pensiamo al caos interno che hanno vissuto, con il viavai di Sam Altman, il CEO, cacciato e poi riammesso a fine 2023.
Gira voce che il nocciolo della questione fosse proprio questo: come far convivere la fame di profitti con la missione originale di OpenAI, quella di garantire che l’intelligenza artificiale generale porti benefici a tutta l’umanità.
Lo stesso Altman, annunciando la nuova struttura, ha ammesso che quella vecchia, pensata quando OpenAI era ancora agli inizi del suo dominio, non reggeva più il passo con la velocità e la complessità del mercato attuale, come descritto da ZDNet.
Ma cosa significa tutto questo, nel concreto?
E soprattutto, dobbiamo crederci?
Una public benefit corporation con fidji simo al timone delle applicazioni: basterà?
Il cuore della manovra è trasformare il braccio armato del profitto di OpenAI, la OpenAI LLC, in una Public Benefit Corporation (PBC).
In pratica, una società che per statuto deve bilanciare gli interessi degli azionisti con un impatto positivo sulla società. La OpenAI Inc., l’organizzazione no-profit madre, manterrà il controllo come azionista di maggioranza.
Un compromesso, dicono, per inseguire opportunità commerciali senza tradire la missione.
Suona bene, vero?
Peccato che questa soluzione sembri un po’ un contentino, magari influenzato da “colloqui” (leggi pressioni?) con leader civici e procuratori generali della California e del Delaware, che ultimamente hanno il fiato sul collo delle grandi aziende AI.
E per gestire questa nuova fase di espansione globale, hanno pescato Fidji Simo da Instacart, nominandola CEO delle Applicazioni, una poltrona nuova di zecca per scalare il business, come riportato su PYMNTS.com. Sam Altman resta CEO, ma con il focus sulla ricerca e l’infrastruttura.
Insomma, uno si occupa della “testa” e l’altra del “braccio”.
E qui casca l’asino, perché di mezzo ci sono i soldi.
Tanti soldi.
Tra ambizioni miliardarie e scetticismo: quale futuro per OpenAI (e per noi)?
OpenAI, infatti, sta cercando di raccogliere la bellezza di 40 miliardi di dollari, puntando a una valutazione di 300 miliardi.
Cifre da capogiro.
Ma con il controllo in mano a una no-profit, convincere gli investitori potrebbe non essere una passeggiata. Alcuni, probabilmente, speravano in meno lacci e più libertà d’azione. Per tenerli buoni, pare abbiano aggiustato qualcosina sui tetti ai profitti e sulla distribuzione delle azioni.
Le reazioni, come prevedibile, sono state contrastanti. C’è chi applaude, vedendoci un passo avanti verso la responsabilità. E chi, come il sottoscritto, storce un po’ il naso, chiedendosi se questa struttura ibrida possa davvero accontentare sia chi cerca il guadagno sia chi chiede una supervisione robusta e indipendente.
Fred Blackwell, CEO della San Francisco Foundation, l’ha detta chiara e tonda, come descritto da PBS NewsHour: “Se OpenAI è veramente impegnata a beneficio dell’umanità, dovrebbe trasferire i suoi asset caritatevoli a un trust pubblico indipendente, completamente separato da qualsiasi interesse a scopo di lucro”.
Parole sante.
Questa mossa di OpenAI la posiziona come apripista, un po’ come hanno fatto altre aziende tipo Anthropic e Patagonia scegliendo la via della PBC. Sarà un test importante per capire se si può davvero bilanciare innovazione, profitto e fiducia pubblica.
Mentre Altman si prepara a testimoniare davanti al Senato USA e la Simo prende in mano le redini operative, il mondo tech starà a guardare.
Riusciranno a tenere insieme la capra dei profitti miliardari e i cavoli di uno sviluppo etico e trasparente dell’AI?
O questa evoluzione mostrerà solo quanto sia difficile barcamenarsi tra priorità così diverse?
Staremo a vedere.