Imprenditori confusi nell’era della ricerca IA: tra dati esplosivi, clienti diffidenti e il rischio di produrre “spazzatura”
📌 TAKE AWAYS
L’IA stia ridefinendo il traffico online, con tassi di conversione elevati ma anche molta diffidenza da parte dei clienti.
Una ricerca di Stanford evidenzia i rischi del “workslop”, ovvero contenuti vuoti prodotti dalle IA che minano fiducia e produttività.
La chiave è un uso strategico e umano della tecnologia, che unisca dati e autenticità.
Lo so cosa stai pensando. Ogni mattina apri il tuo feed di notizie e ti senti come un pugile suonato. Da un lato, senti urlare che “Google è ancora il re, non sprecare tempo con le briciole dell’IA!”
Un attimo dopo, un altro esperto, con un grafico ancora più colorato, sentenzia:
“La ricerca organica è morta, l’IA è tutto!”
Tu sei lì, nel mezzo, con un’azienda da mandare avanti, prodotti da vendere e un sito web che fino a ieri era il tuo orgoglio e che oggi ti sembra un reperto archeologico.
La confusione è paralizzante, vero?
Ti senti tirato per la giacchetta da opposte fazioni, mentre l’unica domanda che ti ronza in testa è:
“Ma i miei clienti, dove diavolo andranno a cercarmi domani? E, soprattutto, mi troveranno?”
Lascia che ti dica una cosa: la tua confusione è legittima.
È il sintomo più sano che tu possa avere in questo momento, perché significa che hai capito la posta in gioco.
Non ti interessano le guerre di religione tra SEO tradizionalisti e profeti dell’IA. A te interessa una sola cosa: che il tuo brand resti visibile e che quella visibilità si trasformi in contratti firmati, carrelli pieni e clienti soddisfatti. Anche se il traffico che conoscevi dovesse calare.
Ecco perché sono qui.
Non per darti l’ennesima opinione, ma per guidarti attraverso i dati, quelli veri.
Per fare un po’ di ordine in questo marasma di idee spacciate per fatti oggettivi.
Allaccia le cinture, perché stiamo per fare un viaggio nei numeri che contano, quelli che decideranno il futuro del tuo business.
Google è un gigante, ma un nuovo predatore sta crescendo a vista d’occhio
Partiamo da un punto fermo, così ci tranquillizziamo tutti: Google non sta morendo.
Chi lo dice sta barando.
Il tuo traffico organico, quello che hai costruito con fatica, è ancora la spina dorsale del tuo business ma ignorare quello che sta succedendo sarebbe come essere il capitano del Titanic e preoccuparsi solo che l’orchestra intrattenga per bene il pubblico.
Un recente e illuminante studio di Seer Interactive, una delle agenzie più rispettate del settore, ha messo nero su bianco quello che molti sospettavano.
Hanno analizzato i dati dei loro clienti negli ultimi 16 mesi e i risultati non possono lasciare indifferenti.
Certo, hanno visto un aumento del traffico proveniente dall’IA del 7000% su base annua, ma come fa notare la ricercatrice Alisa Scharf, questo dato è quasi ovvio: un anno fa l’IA generativa era ancora una novità per pochi.
Il dato che deve farti saltare sulla sedia è un altro, molto più recente e significativo: tra maggio e luglio 2025, il traffico proveniente dalle risposte IA è cresciuto del 113% rispetto ai tre mesi precedenti.
Hai letto bene. Più che raddoppiato in un trimestre.
Ora, la tua parte razionale, quella dell’imprenditore con i piedi per terra, potrebbe dire:
“Sì, vabbè, ma parliamo ancora di una frazione infinitesimale del traffico totale”.
E avresti ragione. Oggi è così.
Ma questa non è una crescita lineare, è una valanga che sta prendendo velocità.
Se questa tendenza, anche solo smorzata, dovesse continuare, potremmo parlare di una crescita di 8 volte entro il prossimo anno.
È ancora poco? Forse.
Ma ti siederesti tranquillamente a tavola sapendo che fuori casa tua c’è un cucciolo di T-Rex che cresce a questo ritmo?
Ma il punto non è solo il volume.
La vera bomba è la qualità di questo traffico.
Lo studio di Seer mostra che i tassi di conversione del traffico IA sono spesso sbalorditivi. In settori come il Software e l’Healthcare, superano il 30%.
Per darti un metro di paragone, il CVR medio della ricerca organica tradizionale analizzata nello studio si attesta al 9.77%. Stiamo parlando di visitatori che arrivano sul tuo sito con un’intenzione precisa e qualificata: il meglio che puoi desiderare.
E come ci arrivano? Non bussando alla porta d’ingresso, di certo.
Sì, perché l’IA sta ridisegnando il viaggio del cliente.
La maggior parte degli utenti (oltre il 90%) non atterra più sulla tua homepage, ma direttamente su pagine interne, due o tre livelli di profondità nel tuo sito.
In pratica l’IA fa da Cicerone, prende per mano l’utente e lo porta esattamente dove si trova la risposta specifica alla sua domanda. È come se un cliente, invece di entrare nel tuo negozio e chiedere indicazioni, si materializzasse direttamente davanti allo scaffale del prodotto che vuole comprare.
Meno ostacoli per lui, più conversioni per te.
Attenzione però: la partita si gioca su più campi.
ChatGPT domina per volumi di traffico inviato, è il colosso che tutti conoscono.
Ma la sorpresa è Perplexity, che pur inviando meno traffico, vanta tassi di conversione mediamente più alti (15.9%).
Questo ci dice che non esiste “l’IA”, ma esistono ecosistemi diversi, con utenti diversi, a cui dovrai imparare a parlare, come ci ha raccontato in modo esauriente e preciso Andrea Volpini di WordLift.
E per farlo devi rivolgerti a un’agenzia SEO che sappia analizzare i diversi modelli di IA, adattando le strategie per ciascuno. Che sappia integrare SEO tecnica, content strategy e analisi predittiva, garantendo la visibilità che meriti, anche in scenari dominati dall’intelligenza artificiale.
Ok, la tecnologia corre. Ma i tuoi clienti si fidano?
Mentre noi marketer ci esaltiamo per i grafici in salita e i tassi di conversione, là fuori, nel mondo reale, la gente come la pensa? Perché puoi avere la tecnologia più avanzata del mondo, ma se i tuoi clienti sono spaventati o diffidenti, non andrai lontano.
Ed è qui che le cose si complicano. Un sondaggio del Pew Research Center ci sbatte in faccia una realtà scomoda: gli americani (e gli europei non sono poi così diversi) sono molto più preoccupati che entusiasti riguardo all’IA.
Il 50% si dichiara più preoccupato dai rischi, contro un misero 10% che si dice più entusiasta.
Ma di cosa hanno paura?
Non di robot assassini alla Terminator, ma di qualcosa di molto più sottile e insidioso.
Il 53% crede che l’AI peggiorerà la creatività umana e il 50% teme che danneggerà le relazioni umane. Riconoscono la sua utilità per compiti analitici – previsioni meteo, lotta alle frodi, sviluppo di farmaci – ma quando si tratta di umanità, si mettono sulla difensiva.
C’è un dato, però, che per te che hai un brand è vitale:
il 76% degli intervistati ritiene fondamentale poter distinguere un contenuto creato da un umano da uno creato dall’IA.
Il problema? Oltre la metà di loro ammette di non sentirsi in grado di farlo.
Capisci cosa significa? C’è un’enorme richiesta di autenticità e trasparenza in un mondo che sta per essere inondato da contenuti artificiali. E questo ci porta dritti al nuovo grande rischio per la tua produttività e la tua reputazione.
Il “Workslop”: quando l’AI ti fa produrre spazzatura che sembra lavoro
Mentre spingi i tuoi team a usare l’IA per “essere più efficienti”, potresti involontariamente introdurre un nemico silenzioso nella tua azienda.
I ricercatori della Stanford University gli hanno dato un nome perfetto: “workslop“.
Si tratta di “contenuti generati dall’IA che si mascherano da buon lavoro, ma che mancano della sostanza per far avanzare significativamente un compito”.
Ti suona familiare?
È il report pieno di frasi altisonanti che non dice nulla.
È l’email così contorta e impersonale che serve una riunione per decifrarla. Prima ci lamentavamo delle riunioni che potevano essere un’email; ora riceviamo email incomprensibili che richiedono una riunione.
Il fenomeno è dilagante.
Lo studio rivela che il 40% dei dipendenti ha ricevuto “slop” (ovvero dei lavori approssimativi e scadenti) da un collega nell’ultimo mese.
Questo non è solo uno spreco di tempo. È un killer di produttività e di morale.
Ricevere “workslop” porta i dipendenti a perdere la stima per i colleghi, a vederli come meno creativi e meno affidabili.
Pensa alle implicazioni per il tuo brand.
Se i tuoi stessi collaboratori producono “spazzatura” internamente, cosa pensi che finirà sul tuo sito, sui tuoi social, nelle tue newsletter?
Contenuti vuoti, senz’anima, che i tuoi clienti, già diffidenti (ricordi il sondaggio Pew?), fiuteranno a un chilometro di distanza.
Così, l’IA, nata per essere un acceleratore, rischia di diventare un generatore di inefficienza e di contenuti che allontanano i clienti invece di attirarli.
Tra hype e paura: usare l’IA senza farsi usare da lei
Siamo al dunque. Le analisi di Seer ci dicono che c’è un nuovo canale in crescita esplosiva, con un potenziale di conversione enorme.
I dati di Pew ci avvertono che il pubblico è scettico e vuole autenticità.
Quelli di Stanford ci mettono in guardia dal rischio di usare questi nuovi strumenti in modo pigro e controproducente.
Sembra un vicolo cieco, ma non lo è.
È un bivio.
La direzione giusta non è né “ignorare tutto” né “buttarsi a capofitto senza pensare”.
La direzione giusta, come sempre, sta nell’equilibrio e nella strategia.
Per queste ragioni continuo a dirti che hai bisogno di un consulente SEO che non abbia paura di sperimentare e provare cose nuove.
L’investimento è minimo, ma l’apprendimento può essere immenso.
Occorre misurare quanto traffico IA sta già arrivando sul tuo sito, da quali piattaforme (ChatGPT, Perplexity, etc.), su quali pagine atterra e, soprattutto, come converte.
Questi non sono più dati per nerd, sono i tuoi nuovi indicatori di performance.
Il “workslop” si combatte con la cultura e le competenze. Forma i tuoi team a usare l’IA come un assistente, non come un sostituto del pensiero.
Insegna loro a usarla per rifinire, per cercare idee, per lucidare un testo già scritto da un umano, non per creare da zero. Rafforza le competenze di comunicazione diretta, quelle che nessuna IA potrà mai replicare, come ci ha detto anche Alice Rowan durante la nostra intervista.
Il tuo brand deve avere una voce umana, ora più che mai!
Non devi spostare l’intero budget marketing domani. Ma devi assolutamente iniziare a misurare, a sperimentare e a preparare la tua azienda e la tua mentalità a questo cambiamento.
Il futuro non è scritto.
È una conversazione tra tecnologia e umanità.
E ora hai i dati per iniziare a partecipare da protagonista, non da spettatore spaventato.
Smetti di procrastinare, scrivi qui alla mia agenzia.
IA, fiducia e workslop: domande frequenti
Google è morto o continua a contare per il traffico del mio sito?
Google non è morto: resta la spina dorsale del traffico organico. Tuttavia, i dati di Seer Interactive mostrano che il traffico da risposte IA è cresciuto del 113% in soli tre mesi, con tassi di conversione molto più alti in alcuni settori. Ignorarlo sarebbe un errore strategico.
I clienti si fidano dei contenuti generati dall’IA?
Secondo un sondaggio del Pew Research Center, il 50% degli americani si dice più preoccupato che entusiasta riguardo all’IA. Il 53% teme un calo della creatività e il 50% un indebolimento delle relazioni. Il 76% considera fondamentale distinguere i contenuti umani da quelli artificiali, ma oltre la metà non si sente in grado di farlo.
Cos’è il workslop e perché è pericoloso?
Il workslop è contenuto generato dall’IA che sembra lavoro valido ma è privo di sostanza. Secondo uno studio Stanford-BetterUp, il 40% dei dipendenti ha ricevuto workslop nell’ultimo mese. Non solo riduce la produttività, ma mina la fiducia tra colleghi e rischia di compromettere la reputazione di un brand.
Questi numeri sull’IA mettono in luce una realtà agrodolce. Crescita rapida, sì, ma a quale prezzo se la sostanza manca? Temo che ci stiamo perdendo qualcosa di umano nel processo.
Letizia Costa, il prezzo della “sostanza” mancante è alto, ma almeno qui si parla di dati concreti, non di chiacchiere. L’IA come muletto, non come cervello. Cosa ne pensate?
Letizia, dici bene. “A quale prezzo” è la domanda giusta. Se l’IA ci fa produrre solo aria fritta, stiamo solo ingrassando il motore della distrazione. Meglio meno contenuti, ma con un’anima.
È chiaro che l’IA genera risultati sorprendenti, ma la qualità e l’affidabilità restano un dubbio. L’idea di usarla come strumento, non come sostituto del ragionamento, mi sembra l’unica via sensata in questo momento.
Vedo un potenziale enorme nell’IA, ma il rischio di contenuti vuoti mi preoccupa. Non vorrei che la mia azienda creasse solo “rumore” digitale. Dobbiamo guidare questa tecnologia, non farci guidare. Come possiamo assicurarci che l’IA aumenti il valore anziché diluirlo?
Ma quelli che producono “spazzatura” sono anche quelli che temono di essere scoperti? Io ho paura che l’IA ci trasformi in robot senza anima, non vorrei mai lavorare con chi non pensa!
La ricerca evidenzia un bivio: elevati tassi di conversione ma anche diffidenza dei clienti. Mi chiedo se stiamo davvero imparando a distinguere ciò che è autentico in questo nuovo paesaggio digitale.
Capisco la confusione, ma l’IA può essere un valido alleato se usata con metodo e spirito critico.
Massimo, con tutti questi dati esplosivi e clienti che temono la “spazzatura” digitale, mi chiedo: sarà mica che l’IA è un po’ come il correttore automatico, utile solo se hai già le idee chiare?
Mi ritrovo nel timore di un output superficiale. La mia esperienza suggerisce che l’IA è uno strumento potente, ma la sua efficacia dipende dalla nostra capacità di guidarla con competenza.
L’IA promette molto, ma il rischio di contenuti superficiali è concreto. Dobbiamo usarla con giudizio, o ci perdiamo.