Le AI overviews di Google: oro colato o rischio disinformazione?

Anita Innocenti

Tra promesse di efficienza e rischi di appiattimento informativo, le AI Overviews di Google sollevano dubbi sulla qualità e l’accuratezza delle risposte fornite, minacciando il lavoro dei creatori di contenuti.

Le AI Overviews di Google offrono riassunti rapidi nel 30% delle ricerche. Comode, sollevano dubbi sull'accuratezza, potendo semplificare troppo o usare fonti deboli. Ciò impatta il traffico dei siti (-60%) e svaluta chi crea contenuti di qualità. Esperti avvisano sui limiti dell'IA nel ragionamento e verifica dei fatti complessi.

Ma le risposte dell’IA sono davvero oro colato?

Te lo sarai chiesto anche tu, navigando su Google e imbattendoti sempre più spesso in quelle che chiamano AI Overviews: comodi riassuntini che il motore di ricerca ti spiattella in cima ai risultati, promettendoti la pappa pronta senza che tu debba cliccare da nessuna parte.

Bello, no?

Forse.

Perché qui la domanda sorge spontanea, e non è una domanda da poco: siamo sicuri che questa efficienza tanto sbandierata non ci stia costando qualcosa in termini di accuratezza dell’informazione?

Diciamocelo chiaramente: l’idea che un’intelligenza artificiale possa setacciare il web e darti la “verità” distillata è allettante, ma la realtà, come spesso accade, potrebbe essere un tantino più complessa e, forse, meno scintillante di come ce la raccontano.

Queste sintesi automatiche, infatti, compaiono ormai per quasi il 30% delle ricerche, come descritto da seoClarity, specialmente quando cerchi soluzioni a un problema o risposte specifiche.

Ma cosa succede quando l’IA, nel suo lavoro di assemblaggio, perde per strada pezzi importanti del discorso o, peggio ancora, attinge da fonti non proprio impeccabili?

Il rischio, amico mio, è che si finisca per appiattire tutto, trasformando argomenti che meriterebbero approfondimento in una brodaglia di nozioni semplificate, dove il contesto e le sfumature si perdono come lacrime nella pioggia.

E non è solo una questione di “qualità percepita”.

Qui si tocca un nervo scoperto, quello della svalutazione del lavoro di chi i contenuti li crea davvero, con fatica e competenza.

Pensaci un attimo: Se l’utente trova la risposta (o presume di averla trovata) direttamente nella pagina di Google, perché mai dovrebbe cliccare per visitare il sito originale? Alcuni studi, come quello di Raptive menzionato da Productive Blogging, parlano di un potenziale crollo del traffico organico fino al 60% per i siti web.

E se chi produce informazione di qualità vede il proprio lavoro costantemente bypassato e meno remunerato, quale sarà l’incentivo a continuare a produrre contenuti accurati e ben documentati nel lungo periodo?

Non è che, a forza di cercare la scorciatoia, ci ritroveremo con un web pieno di informazioni superficiali o, peggio, inesatte?

E i “cervelloni” di Google, che dicono?

Certo, da Mountain View ci assicurano che le loro AI Overviews sono progettate per dare priorità a “fonti autorevoli e diversificate”, specialmente per argomenti delicati come la salute o le finanze (i cosiddetti YMYL).

E ci mancherebbe altro!

Ma il punto è:

Quanto possiamo fidarci ciecamente di questi algoritmi?

Il 2025 AI Index Report della Stanford University, per esempio, sottolinea come, nonostante i passi da gigante, i modelli di intelligenza artificiale attuali fatichino ancora parecchio con compiti che richiedono un ragionamento logico complesso e una verifica precisa dei fatti. Insomma, sono bravissimi a risolvere problemi di matematica da olimpiade, ma quando si tratta di mettere insieme informazioni con la giusta logica e senza inciampare in errori, la strada sembra ancora lunga.

E allora, se persino gli esperti sollevano dubbi sulla loro infallibilità in contesti dove la precisione è tutto, come possiamo stare tranquilli quando queste stesse IA vengono usate per darci risposte su temi che possono impattare significativamente le nostre vite? La sensazione è che, ancora una volta, si stia correndo un po’ troppo, forse abbagliati dalla novità tecnologica, senza considerare appieno tutte le implicazioni.

E la domanda che ci resta in gola è: Chi ci guadagna davvero da tutto questo, e chi, invece, rischia di rimetterci?

Anita Innocenti

Sono una copywriter appassionata di search marketing. Scrivo testi pensati per farsi trovare, ma soprattutto per farsi scegliere. Le parole sono il mio strumento per trasformare ricerche in risultati.

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