Google sfodera Flow: la rivoluzione AI nel filmmaking è qui, o forse no?

Anita Innocenti

Dalla promessa di rivoluzionare il filmmaking con l’AI alla competizione con Adobe e OpenAI: analisi delle potenzialità e delle ombre di Flow

Google ha svelato Flow all'I/O 2025, uno strumento AI per il filmmaking che trasforma testo in video complessi. Basato su Veo 3, Imagen 4 e Gemini, promette consistenza visiva e controlli pro, sfidando competitor. Accessibile con abbonamento, Flow genera dibattito tra i professionisti del settore.

Google sfodera flow: la rivoluzione AI nel filmmaking è qui, o forse no?

Google, durante il suo evento I/O 2025, ha tirato fuori dal cilindro una novità che promette di scuotere il mondo della creazione video: si chiama Flow.

Immagina di poter trasformare semplici idee testuali in scene cinematografiche complesse.

Sì, hai capito bene.

Questo strumento, che si appoggia sulla potenza combinata dei modelli Veo 3 per i video, Imagen 4 per le immagini e Gemini per la parte testuale, mira a superare i limiti che finora hanno un po’ frenato l’entusiasmo verso i video generati dall’AI, soprattutto grazie a capacità di editing potenziate. Insomma, Google sembra fare sul serio nel campo degli strumenti creativi basati sull’intelligenza artificiale.

Ma come diavolo funziona questa piattaforma e cosa la rende, almeno sulla carta, così speciale?

Entriamo un po’ più nel dettaglio.

Flow: tecnologia e promesse mirabolanti

Flow non è solo un giocattolino per creare video buffi.

Google parla di una generazione multimodale capace di interpretare richieste complesse, tipo “un duello di samurai in un vicolo cyberpunk illuminato da neon, mentre piove”. Pensa che integra video, immagini e comprensione del linguaggio per dare vita a queste visioni.

E qui arriva una delle parti più interessanti: la possibilità di riutilizzare asset, importando o generando personaggi e scene da usare in narrazioni più lunghe. Una cosa che, diciamocelo, mancava nei principali tool visti finora e che potrebbe davvero fare la differenza per chi vuole raccontare storie complesse.

Poi, ci sono i controlli da “professionisti”: si parla di un motore di rendering con fisica accurata, la capacità di manipolare angolazioni e prospettive della telecamera, e un output a risoluzione 2K con una velocità di rendering che sarebbe 10 volte superiore a quella di Imagen 3.

A livello tecnico, Veo 3 introduce la generazione audio nativa, con paesaggi sonori ambientali e un miglioramento nel lip-sync, mentre Imagen 4 promette texture iperrealistiche, cruciali per simulazioni d’acqua o pellicce.

Certo, le promesse sono tante e Google ha anche coinvolto filmmaker come Dave Clark e Junie Lau per dare un crisma di professionalità al tutto.

Lau ha addirittura dichiarato che “Flow finalmente ci permette di mantenere la consistenza visiva tra le inquadrature – il Sacro Graal per la cinematografia assistita dall’AI”.

Questo dovrebbe risolvere quel fastidioso “effetto Frankenstein” che spesso affliggeva i video creati con strumenti precedenti.

Ma, al di là dei proclami e delle collaborazioni eccellenti, quale sarà l’impatto reale sul mercato e, soprattutto, ci sono aspetti che dovremmo guardare con un occhio un po’ più critico?

Luci, ombre e qualche scomoda domanda sul futuro creativo

Non è tutto oro quello che luccica, o almeno, è lecito porselo il dubbio.

Il lancio di Flow arriva dopo episodi controversi, come la pubblicità di Toys”R”Us del 2024, criticata per le sue visualizzazioni, beh, un po’ inquietanti, che hanno sollevato più di un sopracciglio sulla maturità di queste tecnologie.

Google, furbescamente, posiziona Flow come un “collaboratore professionale” piuttosto che un sostituto, e forse anche per limitare abusi o usi impropri, l’accesso è vincolato ad abbonamenti AI Pro (da 49$/mese) o Ultra (da 149$/mese).

I primi ad averci messo le mani sopra hanno creato una libreria chiamata Flow TV, che mostra esempi di video generati, incluso un cortometraggio premiato, Echoes of Saturn, realizzato con ben 78 clip generate che, a quanto pare, si fondono senza stacchi evidenti.

Tuttavia, non tutti nel settore sono pronti a stappare champagne: la Directors Guild of America, ad esempio, vede i suoi membri divisi, con un 42% che accoglie con favore questi strumenti contro un 58% che chiede limiti più stringenti al loro utilizzo.

La verità è che questa mossa di Google alza parecchio l’asticella nella competizione con Adobe e il suo Project Starlight o Sora 2 di OpenAI.

L’ecosistema integrato di Google potrebbe dare a Flow un vantaggio non da poco nella costruzione di narrazioni complesse.

Ma la vera domanda, quella che ci ronza in testa, è:

questi strumenti ci potenzieranno davvero, liberando nuove forme di creatività, o rischiano di appiattire tutto, trasformando l’arte cinematografica in un semplice esercizio di prompt engineering e mettendo in discussione il futuro di tanti professionisti?

Staremo a vedere, ma una cosa è certa: il dibattito è appena iniziato.

Anita Innocenti

Sono una copywriter appassionata di search marketing. Scrivo testi pensati per farsi trovare, ma soprattutto per farsi scegliere. Le parole sono il mio strumento per trasformare ricerche in risultati.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Ricevi i migliori aggiornamenti di settore