Le testimonianze degli ingegneri di Mountain View al processo Antitrust svelano l’uso di oltre 100 segnali, tra modelli tradizionali, IA e sistemi come Navboost e RankEmbed
📌 TAKE AWAYS
- Le testimonianze al processo Antitrust di maggio 2025 confermano che Google per determinare il ranking combina segnali storici come i click, il tempo speso su una pagina e il famigerato “pogo-sticking”, con sistemi avanzati come Navboost e RankEmbed, un modello di IA semantica che interpreta le intenzioni dell’utente.
- Documenti interni mostrano che i vertici di Google sono consapevoli del rischio di perdere traffico da Search a favore di strumenti IA come ChatGPT e Gemini stesso. L’obiettivo è chiaro: monetizzare rapidamente Gemini e integrarlo con gli strumenti pubblicitari.
- Le IA generative (come Gemini e ChatGPT) non mostrano più semplici elenchi di risultati, ma sintetizzano e integrano contenuti. Quindi oggi vince chi produce testi pertinenti, strutturati, leggibili dalle macchine, con risposte chiare e un linguaggio accessibile.
I documenti del processo antitrust USA di maggio 2025 rivelano come Google classifica i risultati: oltre 100 segnali, IA come RankEmbed e tabelle come Navboost.
L’intelligenza artificiale sta ridefinendo il concetto di SEO, mentre Google prepara Gemini come nuovo canale pubblicitario.
Per emergere, servono contenuti chiari, strutturati e pensati sia per gli utenti che per le IA.
Okay, mettiamoci comodi.
Perché se fino a ieri pensavi che la SEO fosse una specie di Voodoo digitale, fatto di parole chiave infilate a forza nel testo e una preghiera al dio dei backlink, beh, preparati a una doccia fredda.
Anzi, gelata.
Immagina di aver passato anni a lucidare la tua vetrina online, posizionando ogni prodotto con cura maniacale per attirare lo sguardo onnipresente di Google.
E poi, un giorno, scopri che il negozio ha cambiato completamente layout, i commessi sono diventati dei robot sapientoni e il direttore, quel simpaticone di Google, ti guarda con un sorrisetto sornione dicendo:
“Carino il tuo negozietto, ma decidiamo noi cosa far vedere, e come. Come dici? Vuoi conoscere i nostri criteri di selezione? Ma così è troppo facile!”.
Ecco, la sensazione è più o meno questa.
Hai presente il processo che ha condannato Google in quanto monopolista?
Bene, i nuovi documenti emersi dal procedimento dell’Antitrust USA hanno scoperchiato il Vaso di Pandora, o meglio, l’algoritmo di Pandora, mostrandoci come funziona davvero il ranking su Google Search.
Se hai un’attività online, queste non sono chiacchiere da bar, ma informazioni che potrebbero ridefinire il futuro della tua visibilità e, diciamocelo, dei tuoi guadagni.
Dietro le quinte del ranking: tra segnali tradizionali, super tabelle e l’ombra dell’IA
Per anni ci siamo arrovellati su quali fossero i famigerati “fattori di ranking”.
Ora, grazie alle confessioni di ingegneri chiave di Google come Pandu Nayak e HJ Kim davanti al Dipartimento di Giustizia USA, a maggio 2025, abbiamo qualche certezza in più. Preparati, perché la lista è lunga e complessa, ma cercherò di rendertela digeribile.
Google, a quanto pare, utilizza oltre 100 segnali “grezzi” per decidere il destino del tuo sito web. Questi segnali vengono poi combinati in “segnali di primo livello”.
I “segnali tradizionali”, quelli che un po’ tutti tra gli addetti ai lavori sospettavamo, ci sono ancora:
i click degli utenti su un risultato, il tempo speso sul sito (Google lo chiama “attention on a result”), se l’utente torna indietro velocemente alla pagina dei risultati (il temuto “pogo-sticking”), o se modifica la sua ricerca.
Poi c’è Navboost. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, Navboost non è un cervellone artificiale.
L’ex Googler Eric Lehman lo ha descritto candidamente come “solo una grande tabella”.
Immagina un enorme foglio Excel dove Google annota, per ogni ricerca e per ogni pagina, quanti click ha ricevuto, segmentando i dati per località e tipo di dispositivo, e usando i dati degli ultimi 13 mesi.
Quindi, se la tua pagina per “scarpe rosse comode” riceve tanti click a Milano da smartphone, Navboost lo registra. Non è magia nera, è statistica, anche se su scala titanica.
Ma non finisce qui.
Accanto a questi metodi più “artigianali”, l’intelligenza artificiale sta prendendo sempre più piede.
Il pezzo da novanta si chiama RankEmbed.
Questo è un modello di Machine Learning, basato su Large Language Models (LLM), che cerca di abbinare le query degli utenti alle pagine web in base al significato semantico.
In pratica, cerca di capire cosa vuoi dire, non solo quali parole usi.
È “estremamente veloce” per le ricerche comuni, ma Nayak ammette che arranca un po’ con le query “long-tail”, quelle più specifiche e meno frequenti. Per addestrarlo, Google gli ha dato in pasto i dati di ricerca di un intero mese.
E i fondamentali?
Beh, alcuni non muoiono mai.
Il caro vecchio PageRank, l’idea originale di Larry Page e Sergey Brin, basata sull’autorevolezza dei link, conta ancora e contribuisce a un segnale più ampio chiamato Q* (Quality Star), che misura la qualità generale di una pagina.
Poi c’è T* (Topicality Star), che valuta la pertinenza di una pagina rispetto a una query, analizzando gli Anchor text dei link (A), il Body del testo (B) e i Click (C) – in particolare, quanto a lungo un utente rimane sulla pagina linkata prima di tornare ai risultati di ricerca.
Sembra quasi un ritorno al passato, no?
Curiosamente, nonostante la corsa all’IA, moltissimi segnali sono ancora “hand-crafted”, cioè scritti a mano dagli ingegneri.
Come mai, ti chiederai…
Il motivo per cui la stragrande maggioranza dei segnali è creata artigianalmente è che se qualcosa si rompe, Google sa cosa sistemare. Google vuole che i suoi segnali siano completamente trasparenti in modo da poterli risolvere e migliorare.
HJ Kim, Senior Software Engineer di Google
Insomma, l’IA è potente, ma un codice scritto da un umano è più facile da debuggare e, diciamocelo, da “aggiustare” se i risultati non piacciono o se c’è troppa “attenzione mediatica/pubblica” su qualche strafalcione dell’algoritmo.
Gli ingegneri, però, ammettono che “trovare i giusti limiti per questi aggiustamenti è difficile” e che questi stessi aggiustamenti “sarebbero facili da decifrare e copiare analizzando i dati”.
Un bel gatto che si morde la coda.
Te la spiego semplice:
Google, in pratica, non si limita a “prevedere i click”, perché sa che sono facilmente manipolabili e non misurano fedelmente l’esperienza utente.
Invece, cerca un equilibrio, un approccio ibrido che combina il recupero tradizionale delle informazioni con la potenza del machine learning.
Allarme rosso a Mountain View: “La perdita di traffico da Search è inevitabile”
Ma qui la faccenda si fa ancora più seria (altro che il non-scandalo Google Leak!)
Un documento interno, sempre emerso dal processo, rivela che i vertici di Google non solo sono consapevoli del cambiamento epocale innescato dall’IA generativa, ma ne sono preoccupati.
Figure di spicco come Liz Reid (Capo e responsabile di Google Search), Vidhya Srinivasan (vicepresidente e direttrice generale della divisione pubblicità) e Nick Fox (vicepresidente dei prodotti per la Ricerca e di Maps) ne parlarono tra loro manifestando ansie e timori.
Nick Fox, per esempio, delineò tre scenari possibili:
- Search regge l’urto (lo scenario preferito, ma altamente improbabile);
- Perdiamo traffico da Search verso Gemini (eventualità ottimista e verosimile);
- Perdiamo traffico da Search verso ChatGPT (lo scenario peggiore, l’incubo).
Vidhya Srinivasan, dal canto suo, ha usato l’espressione “the writing is on the wall” – la sorte è segnata – riguardo alla perdita di traffico di Search a favore di Gemini.
La sua soluzione?
“Accelerare la monetizzazione di Gemini con le Ads il prima possibile”.
Sorpreso?
Non dovresti.
Ti ricordo che Big G ha generato quasi 200 miliardi di dollari dalle entrate di Search nel 2024.
È una mucca da mungere, e se la stalla principale rischia di svuotarsi, bisogna attrezzare in fretta quella nuova.
I dirigenti hanno parlato apertamente di una “svolta inevitabile” e della necessità di integrare Gemini con Search e con le soluzioni per lo Shopping, creando una “strategia connessa”.
In sintesi: Google sa che l’IA sta cambiando le carte in tavola e le abitudini di ricerca.
Sta correndo ai ripari puntando tutto su Gemini, non solo come assistente intelligente, ma come futuro canale pubblicitario principale.
Il messaggio per te, che hai un sito e vendi online, è forte e chiaro: il terreno di gioco sta per essere stravolto (e sarà sempre targato Mountain View).
Gemini e la pubblicità: cronaca di un matrimonio annunciato
Durante una recente call con gli investitori, a febbraio 2025, il CEO Sundar Pichai, con la sua consueta abilità diplomatica degna di un equilibrista, ha lasciato intendere che Gemini potrebbe diventare una nuova, luccicante piattaforma pubblicitaria.
Pichai, come riporta The Verge, ha parlato di avere “ottime idee per concetti di annunci nativi”, pur ribadendo, ovviamente, il solito mantra della “user experience prima di tutto”.
Tradotto dal googlese:
“Tranquilli, per ora vi coccoliamo con un’esperienza pulita, ma state pronti perché il conto, prima o poi, arriva sempre”.
E per spingere sull’acceleratore dell’intelligenza artificiale, Google ha messo sul piatto la modica cifra di 75 miliardi di dollari in spese di capitale solo per quest’anno, come puoi verificare tu stesso.
Qualcuno dovrà pur ripagare questo colossale investimento, no?
Ok, non aspettarti già domani mattina banner lampeggianti con scritto “compra questa pentola di acciaio inox ultra resistente!” mentre chiedi a Gemini il senso della vita.
Pichai ha specificato che “per quest’anno, ci concentreremo sulla direzione degli abbonamenti”.
Ma, come ha saggiamente osservato un analista di Wells Fargo che gli ha posto la domanda diretta sulla “futura opportunità di monetizzazione di Gemini” e su una possibile “componente pubblicitaria”, il modello di business di Google è intrinsecamente, visceralmente, legato alla pubblicità.
E, aggiungo io, le Ads sono già spuntate come margherite a primavera nelle AI Overviews (e pure nell’AI Mode), tracciando una possibile, e molto probabile, roadmap.
La logica è ferrea: raggiungere “miliardi di utenti” con Gemini, come auspicato dallo stesso Pichai, e poi offrire “opzioni nel tempo”, un po’ come hanno fatto con YouTube (ricordi? Prima gratis per tutti, poi la pubblicità, poi l’abbonamento per toglierla).
Insomma, si profila all’orizzonte un nuovo, gigantesco ecosistema pubblicitario con sofisticate capacità di targeting. Questo è inevitabile (specialmente in seguito alla condanna di Big G per monopolio).
Preparati, dunque, perché la gallina dalle uova d’oro della pubblicità online sta per trovare un nuovo, e forse ancora più grande, pollaio.
Non essere primo, sii “scelto”: la nuova frontiera dell’ottimizzazione
Cosa ci dice tutto questo?
Che l’era del “ranking” come lo conoscevamo sta tramontando.
Come sottolinea Carolyn Shelby, esperta SEO, in un suo recente intervento:
La pertinenza è il nuovo segnale di ranking.
Carolyn Shelby
Oggi non conta più essere ossessivamente al primo posto nei risultati blu.
Conta essere scelti dall’IA per comparire nelle sue risposte.
ChatGPT, Gemini e pure AI Overviews non “ordinano” le pagine web in una lista.
Ma recuperano, sintetizzano e presentano informazioni.
Quindi, cosa funziona oggi e funzionerà sempre di più domani?
- risposte dirette e ben scritte, l’IA ama i contenuti che vanno dritti al punto. Niente fuffa, niente giri di parole. Rispondi alla domanda in modo chiaro ed esplicito;
- formati leggibili dall’IA, liste puntate, numerate, sezioni FAQ. Strutture che l’IA può “digerire” e da cui può estrarre facilmente le informazioni chiave;
- parole chiave esplicite (ma naturali), se l’IA deve capire che il tuo contenuto è pertinente, aiutala! Usa le parole e le frasi che userebbe il tuo utente target per cercare quell’informazione. Non si tratta di keyword stuffing, ma di “allineamento del prompt”, come lo chiama Shelby. Se l’utente chiede “benefici mela”, il tuo testo dovrebbe parlare esplicitamente dei “benefici della mela”;
- struttura chiara e linguaggio semplice, ogni sezione del tuo contenuto dovrebbe avere uno scopo preciso. Titoli chiari (H1, H2, H3 ben usati), paragrafi concisi. Pensa che il tuo testo deve essere comprensibile non solo a un umano, ma a una macchina che sta imparando a “leggere”.
L’autorità del dominio e i backlink contano ancora (PageRank e Q* lo dimostrano), sono “table stakes”, il minimo per sedersi al tavolo da gioco.
Ma da soli non bastano più. Se il tuo contenuto, pur autorevole, è un muro di testo incomprensibile o non risponde direttamente alla query interpretata dall’IA, verrai semplicemente saltato.
Essere uno dei tanti, accontentarti, vivacchiare di rendita, in questo nuovo scenario, significa essere invisibile.
Per questo è sempre più vitale rivolgersi a un’agenzia SEO che sappia come rendere il tuo business visibile e autorevole per IA e LLM.
È ora di chiamare i rinforzi: l’esperto SEO come tuo sherpa nell’era dell’IA
Hai visto quanti segnali, quante variabili, quanti studi e quante dinamiche sono in gioco?
Google usa oltre 100 segnali, mescola tabelle di dati come Navboost con IA sofisticate come RankEmbed, sta per stravolgere il flusso di traffico con Gemini e le AIO, e queste ultime hanno già i loro “preferiti” (spesso Google stessa).
Il traffico da LLM, poi, potrebbe convertire meno o di più, a seconda dei punti di vista.
Un bel casino, vero?
Non basta più avere “autorità” o una caterva di link.
Serve essere comprensibili e pertinenti per farsi “recuperare” dall’intelligenza artificiale, oltre che continuare a piacere all’algoritmo tradizionale che, comunque, non è ancora andato in pensione.
Serve una strategia che tenga conto di entrambi i mondi, che sappia parlare sia agli umani che alle macchine.
Ecco perché, oggi più che mai, il consulente SEO non è un costo, ma un investimento strategico.
Non uno che ti promette la prima posizione a tutti i costi, ma un consulente che capisce queste dinamiche complesse, che studia i dati (come quelli che ti ho appena mostrato), che sperimenta e che adatta la tua presenza online per renderla visibile e profittevole in questo scenario così mutevole.
Il tuo obiettivo è che il tuo brand sia visibile per le IA, che il tuo sito riceva traffico qualificato, che questo traffico si trasformi in clienti e vendite.
Che sia tramite un risultato blu tradizionale, un’AI Overview o un referral da Gemini, l’importante è esserci e convertire.
Per scalare questo mondo (e non farti venire le vertigini) hai bisogno di uno sherpa esperto.
Qualcuno che ti aiuti a non perderti e a raggiungere la vetta.
Pensaci bene, perché il futuro della tua attività dipende da questo. Non perdere altro tempo prezioso: scrivi qui alla mia agenzia.
Come funziona il ranking di Google? Ecco quanto emerso dal processo Antitrust USA VS Google: Domande & Risposte
Quali segnali utilizza Google per determinare il ranking?
Google utilizza oltre 100 segnali grezzi, tra cui click, tempo speso sul sito, pogo-sticking e modifiche alla query. Questi segnali vengono combinati in segnali di primo livello. Oltre ai segnali tradizionali, Google impiega sistemi come Navboost (una grande tabella statistica) e RankEmbed (modello di machine learning basato su LLM) per determinare la pertinenza semantica delle pagine.
Che ruolo ha l’intelligenza artificiale nel ranking di Google?
L’intelligenza artificiale gioca un ruolo sempre più centrale grazie a modelli come RankEmbed, che analizzano il significato delle query per offrire risultati pertinenti. Tuttavia, molti segnali sono ancora scritti a mano dagli ingegneri per garantire trasparenza e facilità di manutenzione in caso di problemi o interventi correttivi.
Come cambierà il traffico da Google con l’introduzione di Gemini?
Secondo documenti interni emersi dal processo antitrust, Google prevede una perdita di traffico da Search verso Gemini e ChatGPT. Per questo motivo sta accelerando l’integrazione di Gemini con Search e Ads, con l’obiettivo di trasformarlo in una piattaforma pubblicitaria avanzata capace di sostenere le entrate del gruppo.