Seo  

Osservando Google dallo spioncino: 3 brevetti che potrebbero cambiare il web

Le novità a cui sta pensando Google hanno un impatto potenziale enorme per i nostri business. Qui ti spiego tutto

Cosa bolle in pentola in casa Google? 🤔

Penso che ce lo chiediamo un po’ tutti di tanto in tanto, specialmente se possediamo un un sito online la cui visibilità dipende dalla nostra capacità di adattarci alle continue novità di Big G.

Personalmente, è una domanda che mi faccio di continuo e, di tanto in tanto, soddisfo la mia curiosità ‘spiando’ quello che combina l’azienda di Mountain View, esaminando i brevetti depositati che, nel momento in cui diventassero realtà, potrebbero avere un impatto notevole in ambito SEO.

Ecco, durante una delle mie più recenti ‘spiate’, mi sono imbattuto in 3 patenti che hanno catturato la mia attenzione e che, ne sono certo, saranno decisamente interessanti anche per te che possiedi un business online.

Ti va di dare un’occhiata a quello che potrebbe accadere nel prossimo futuro sul web?

“Roberto, ma perché dovrebbe importarmi qualcosa dei brevetti di Google?”.

Perché riguardano direttamente te e tutti gli altri imprenditori che cercano di costruire una presenza solida sul web.

Perché, se trasformati in realtà, ci saranno serie conseguenze sul lato SEO.

Ti chiedi quali?

Te le spiego per filo e per segno.

Il vigilante Google vuole decidere se i nostri siti sono inappropriati o meno… Con un algoritmo!

Il primo brevetto di cui ti voglio parlare si intitola “Methods, systems, and media for modifying search results based on search query risk”. Tradotto, “Metodi, sistemi e supporti per modificare i risultati di ricerca in base al rischio della query di ricerca”.

Se vuoi leggerlo di persona lo trovi qui, ma per facilitarti il compito ti spiego in parole semplici come funziona:

  • ipotizziamo che tu voglia aumentare la sicurezza del tuo PC in modo economico. Apri Google e cerchi ‘antivirus free’ o ‘antivirus gratis’ e via dicendo;
  • il motore di ricerca genera una lista di risultati. Questi potrebbero includere siti web legittimi che offrono software gratuiti, ma anche portali che potrebbero distribuire malware o programmi piratati;
  • per ogni risultato, un algoritmo (e ti suggerisco di badare al fatto che si tratta di un algoritmo) calcola un valore di ‘goodness‘. In sostanza, si tratta di un metro di giudizio su quanto quel risultato è affidabile, pertinente alla query, lecito e via dicendo;
  • basandosi sul valore di goodness della query, l’algoritmo stabilisce una soglia. I risultati che non la superano sono considerati potenzialmente impropri o rischiosi e vengono penalizzati.

Insomma, Google vuole fare il poliziotto.

Ora, così a prima vista questo sistema potrebbe sembrare più che valido. Soprattutto in casi come quello appena ipotizzato.

Il problema è che nel brevetto vengono specificati quali tipi di contenuti possono essere ritenuti inappropriati, scrivendo “i malintenzionati possono abusare di questa visibilità ottimizzando contenuti ingannevoli (ad esempio, spam), volgari, pornografici, illegali e/o “clickbait” per posizionarsi su query di ricerca considerate a rischio”.

Ok, se un contenuto è illegale ci sta benissimo la penalizzazione. E i contenuti pornografici sono facilmente identificabili e giustamente colpiti dall’algoritmo.

Ma ‘ingannevoli’, ‘clickbait’, ‘volgari’ sono termini troppo generici.

Come può un algoritmo giudicare se un contenuto rientra in una di queste categorie? E, soprattutto, che succede se sbaglia nel penalizzare un risultato più che legittimo togliendo visibilità magari al tuo sito che tanto ti stai impegnando a ottimizzare?

Per non parlare del fatto che gli algoritmi sono addestrati da esseri umani che possono avere dei bias, inserendoli nel software stesso e inficiando la sua capacità di giudizio a partire dalle fondamenta.

Insomma, questa ‘mania di controllo’ che Google sta sviluppando va considerata con occhio critico non solo per il rischio di falsi positivi, ma anche per il potere che conferisce al gigante della ricerca. Un gigante che, di fatto, si sta arrogando sempre più il diritto di vita e di morte sui nostri business.

Google si sta arrogando sempre più il diritto di vita e di morte sui nostri business

Google ci leggerà nel pensiero! 😱​

Sai, Google non vuole solo fare il poliziotto, ma anche l’indovino. È quello che ho capito visionando il brevetto “Query composition system“.

Nella pagina vengono illustrati metodi, sistemi e apparecchiature per generare dati che definiscono dei ‘cluster’ di contesto valutando la loro frequenza. Questo termine ‘cluster’ di contesto indica insiemi di informazioni che descrivono una particolare situazione, ambiente o circostanza in cui si trova un utente al momento di una determinata azione, come una ricerca online. Questi dati possono consistere nella posizione geografica, nell’orario, nel dispositivo utilizzato, nelle interazioni che un individuo ha appena avuto sui social e così via.

Ora, seguimi bene.

Ciascuno di questi cluster include anche gruppi di query basate, per l’appunto, sul contesto e il sistema deduce la probabilità che una particolare query venga selezionata dall’utente quando si trova in una situazione specifica.

In parole semplici, tutto ciò consiste nel prevedere quello che potrebbe cercare l’utente in una determinata circostanza ancora prima che digiti qualsiasi parola sul motore di ricerca.

Ti faccio un esempio pratico.

Mario lavora duramente tutta la settimana e nel suo giorno libero, il venerdì, è solito passare la serata al cinema dopo aver cercato informazioni sul web relativamente alle ultime novità in uscita.

Un bel giorno Google decide di implementare nel suo motore di ricerca il brevetto di cui ti ho appena parlato. E il venerdì successivo Mario, durante una passeggiata serale, si trova nei pressi del suo cinema preferito.

A questo punto, prende lo smartphone dalla tasca e apre il suo browser preferito. Clicca sulla barra di ricerca e il sistema si mette in moto: grazie al GPS sa che Mario si trova nei pressi di un cinema, avendo accesso alla cronologia delle ricerche sa anche che di solito il venerdì sera si informa sugli ultimi film usciti e, in base al calendario interno del dispositivo, si accorge che il giorno e l’ora coincidono con quelle scelte dall’utente per il suo passatempo.

Ed ecco che, prima che venga digitato un solo carattere, Google suggerisce al nostro Mario query come ‘Film in programmazione cinema XYZ’, oppure ‘Orari film cinema XYZ’.

Google chiaroveggente?

Sì, ma anche ficcanaso come sempre e ancor di più indirizzato a costruire un ecosistema nel quale ti suggerisce le cose per portarti dove vuole lui, come ho già notato nel mio articolo sulla SGE.

Big G è sempre più affamato dei nostri dati

Non ho mai nascosto la mia avversione alla tendenza di Google di intrufolarsi nella navigazione degli utenti. Di raccogliere dati su dati, spesso all’insaputa di chi usa il suo motore di ricerca.

Ne ho parlato altre volte, come quando ho raccontato dell’aggiornamento della Privacy Policy di Big G e delle sue implicazioni. E voglio sottolinearlo una volta di più in questo articolo.

La solfa è sempre la stessa: dietro presunte buone intenzioni (in questo caso, il desiderio di Google di direzionare fin da subito la ricerca degli utenti in base alle informazioni raccolte su di loro) si nasconde un comportamento che solleva diverse questioni etiche nei confronti della raccolta di questi cluster di informazioni:

  • per funzionare efficacemente, questo sistema ha bisogno di raccogliere una vasta gamma di dati sugli utenti, come la loro posizione, la cronologia di ricerca, le interazioni sui social media e altro, invadendo letteralmente la privacy di tutti noi;
  • anche se i dati vengono raccolti per motivi legittimi, la conservazione di questi per periodi prolungati può rappresentare un serio rischio, specialmente se ci sono vulnerabilità informatiche. E io che mi ricordo bene lo scandalo del data breach del 2018, non sono poi così fiducioso nella capacità di Big G di proteggere le informazioni degli utenti;
  • c’è poi la preoccupazione che i dati raccolti possano essere condivisi con terze parti, come inserzionisti o partner commerciali, senza il consenso esplicito dell’utente;
  • e, per concludere, ammesso e non concesso che il consenso venga richiesto, è assolutamente vitale che venga fatto con la massima trasparenza. O, comunque, attraverso un consenso strappato ‘sottobanco’, tramite le classiche pagine di conferma che quasi nessuno legge con attenzione.
Problemi etici relativi alla raccolta dati da parte di GoogleQuanto ci dovrebbe preoccupare
Il sistema brevettato da Google ha bisogno di raccogliere una vasta gamma di dati sugli utenti, come la loro posizione, la cronologia di ricerca, le interazioni sui social media e altro, invadendo letteralmente la privacy di tutti noi.😨​😨​😨​😨​
La conservazione dei dati per periodi prolungati può rappresentare un serio rischio, specialmente se ci sono vulnerabilità informatiche. E se pensiamo allo scandalo del data breach del 2018, sappiamo bene che Google non può darci la totale sicurezza in merito.😨​😨​😨​
È preoccupante che i dati raccolti possano essere condivisi con terze parti, come inserzionisti o partner commerciali, senza il consenso esplicito dell’utente.😨​😨​😨​
Se il consenso alla raccolta dei dati viene richiesto è assolutamente vitale che venga fatto con la massima trasparenza. Finora, invece, siamo stati abituati ai consensi strappati ‘a tradimento’.😨​😨​

Ecco, tutti questi aspetti andrebbero valutati attentamente prima di accettare l’entrata in campo di un sistema come quello descritto nel brevetto. Perché il ‘mondo su misura di Google’ che traspare dalle patenti dell’azienda di Mountain View non ha poi un aspetto così invitante.

Il mondo su misura di Google... | Roberto Serra

Quello che devi sapere sull’impatto della Query composition lato SEO

A parte le preoccupazioni sulla privacy trattate nel paragrafo precedente, ci sono altre importanti considerazioni che vorrei fare sul sistema di Query composition, in particolare di come potrebbe impattare sulla SEO e, di conseguenza, sulla visibilità dei business online.

È chiaro che se questo brevetto si trasformasse in realtà, l’ottimizzazione per i motori di ricerca dovrebbe adattarsi di conseguenza, concentrandosi molto di più su fattori ‘contestuali’. In particolare, la cosiddetta Local SEO assumerebbe una rilevanza centrale e le aziende ben radicate sul territorio avrebbero un netto vantaggio quando si tratta di apparire nelle SERP fornite in base alla posizione.

In aggiunta, poiché il sistema suggerisce query basate sul contesto individuale dell’utente, i risultati delle ricerche potrebbero diventare così personalizzati da rendere ancora meno efficaci le porcherie che vengono messe in atto ancora oggi da numerosi ‘venditori di fumo’.

Hai presente tutte quelle agenzie per la SEO che promettono mari e monti e che giocano al ribasso per venderti contenuti ottimizzati con i piedi, infarciti di parole chiave e costruiti per compiacere Google e non gli utenti?

Ecco, la personalizzazione estrema della user experience spazzerebbe via queste realtà, imponendo una volta per tutte l’utilizzo di strategie di ottimizzazione finalmente focalizzate sugli utenti. Direzionate a soddisfare appieno il loro intento di ricerca, a cercare di conoscerli nel profondo così da progettare contenuti ritagliati su misura per loro.

Le entità correlate: offrire agli utenti risultati più completi in base ai legami semantici

E poi c’è l’ultimo dei brevetti che hanno attratto il mio interesse: quello sulle “Related entities“.

Questa patente riguarda metodi, sistemi e apparecchiature, inclusi programmi informatici codificati su supporti di archiviazione, per identificare entità correlate a un’altra entità alla quale è diretta una query di ricerca.

In sintesi, il brevetto descrive un sistema che:

  • riceve una query di ricerca che è stata determinata come relativa a una prima entità di un certo tipo;
  • raccoglie i risultati di ricerca per la query;
  • determina se i risultati di ricerca che identificano una risorsa contenente un riferimento alla prima entità superano un valore soglia e se sono compatibili con entità secondarie;
  • utilizza anche informazioni che identificano queste ultime come parte della risposta alla query di ricerca.

Ecco un altro pratico esempio per te.

Immagina di essere il proprietario del brand Euronics. Un utente in linea con le caratteristiche del tuo pubblico target decide di dare un’occhiata a cosa offre il tuo e-commerce iniziando la sua ricerca su Google.

  • Passo 1: inserisce la query ‘Euronics’ nel motore di ricerca;
  • passo 2: il sistema riceve la query e la riconosce come relativa a una ‘prima entità’, in questo caso, il tuo e-commerce che l’utente vuole raggiungere;
  • passo 3: il sistema inizia a cercare risultati pertinenti alla query. Mentre fa ciò, verifica anche quanti di questi risultati contengono riferimenti diretti a Euronics;
  • passo 4: se un numero significativo di risultati contiene riferimenti diretti al tuo sito (superando un certo valore soglia), il sistema deduce che la tua ricerca è fortemente focalizzata su di esso;
  • passo 5: oltre a fornire risultati direttamente legati a Euronics, il sistema decide di mostrare anche entità correlate. Queste potrebbero includere offerte speciali del tuo brand, recensioni dei tuoi clienti, eventi organizzati dalla tua azienda e così via.

Risultato: quando l’utente i risultati della ricerca, non solo trova la home page del tuo e-commerce, ma visualizza anche una serie di entità correlate che potrebbero interessargli, offrendo a lui una panoramica più completa e a te (se hai fatto bene i compiti a casa lavorando su queste entità) maggiori possibilità di attirare traffico sul tuo sito.

Tra link building e dati strutturati: sfruttare le entità correlate a nostro favore

Vedi, quest’ultimo brevetto mi ha colpito particolarmente.

In primo luogo, ci pone davanti alla necessità di dare il rilievo che merita alla link building: una potente strategia per aumentare la visibilità che, in base a ciò che ho constatato nel corso della mia esperienza come consulente SEO, ancora oggi viene ampiamente trascurata e che, per questo, offre ottime opportunità per chi è capace di sfruttarla.

Perché, se i tuoi competitor la fanno (magari da anni e bene perché se no non sarebbero la a prendersi il traffico che vuoi tu) e tu, invece hai sempre improvvisato, o peggio non hai ancora fatto nulla… allora stai lasciando alla concorrenza opportunità d’oro.

Per capire quanto sia poco utilizzata (o utilizzata male) la link building, pensa che, in base ai dati raccolti da Backlinko in collaborazione con BuzzSumo, il 94% dei siti web non riceve alcun link esterno e solo il 2,2% ne riceve multipli!

Statistiche sui backlink ricevuti dai siti web | Roberto Serra

Ritornando a noi, il brevetto in questione ci spinge a fare link building ragionando non solo sulle entità primarie, ma anche su quelle secondarie. In sostanza, significa identificare quelle connessioni semantiche che Google potrebbe utilizzare per fornire agli utenti i risultati della loro ricerca.

Per intenderci, se gestiamo un e-commerce specializzato in dispositivi elettronici e decidiamo di promuovere un nuovo smartphone di punta, ad esempio il ‘Modello X’, non dovremmo limitarci a cercare link che si riferiscono direttamente a quel modello.

Dovremmo anche considerare le entità correlate, come gli accessori più popolari per quel dispositivo (custodie, cuffie, caricatori wireless), le tecnologie innovative integrate (come una particolare fotocamera o un tipo di schermo), o anche altri prodotti della stessa marca che potrebbero interessare gli acquirenti del ‘Modello X’.

In aggiunta, questo brevetto sottolinea ancora di più la necessità di capire come funziona il knowledge graph di Google e come comunicare efficacemente con Big G.

Ecco in parole semplici cosa intendo.

Il knowledge graph è una mappa strutturata di informazioni che Google utilizza per fornire risposte agli utenti nelle sue SERP. Si tratta di una banca dati che combina dati provenienti da diverse fonti per formare un quadro completo e interconnesso su persone, posti, cose (insomma, le ‘entità’) e le relazioni tra di loro.

Ora, gran parte delle informazioni contenute in questa mappa Google le prende dal web, estraendole e aggregandole dai siti internet nella misura in cui riesce a capire con precisione i dati inclusi nei contenuti.

E qui entra in gioco l’importanza dei dati strutturati e della marcatura a schema.

I dati strutturati sono fondamentalmente istruzioni chiare e specifiche che i proprietari di siti web forniscono ai motori di ricerca riguardo al significato e al contesto dei loro contenuti. Pensaci come se stessimo fornendo un ‘manuale’ a Google su come interpretare le informazioni sul nostro sito.

La marcatura a schema, dall’altro lato, è lo strumento che ci consente di classificare queste informazioni in modo preciso e strutturato. È come se stessimo mettendo delle etichette su ogni pezzo di informazione, dicendo a Google: “Questo è un libro”, “Questo è l’autore”, “Questo è il prezzo”, e così via.

Lo so, sono concetti che possono essere complessi da comprendere così su due piedi, ma in questo contesto l’importante per te è capire che sono strumenti essenziali per comunicare efficacemente a Big G il contenuto e l’organizzazione delle tue pagine.

E se il brevetto sulle Related entities diventasse realtà, sarebbe ancora più vitale dare a Google informazioni in maniera per lui comprensibile, così che le possa raccogliere, inserire nel suo knowledge graph e usarle per offrire risposte agli utenti. Risposte che avrebbero l’effetto di attirare traffico sul tuo sito.

In conclusione

I brevetti di casa Google ci offrono uno sguardo intrigante sul futuro della ricerca online e sul modo in cui l’azienda intende evolvere il suo ecosistema. La focalizzazione crescente sulla personalizzazione delle ricerche e l’analisi del contesto dell’utente sottolineano l’importanza di un’ottimizzazione SEO sempre più avanzata e centrata sulle persone. Tuttavia, ciò porta con sé anche preoccupazioni legate alla privacy e all’etica della raccolta dati.

Mentre le potenziali implicazioni per la visibilità online delle aziende sono enormi, è essenziale per i proprietari di business online adattarsi rapidamente a questi potenziali cambiamenti, concentrandosi sull’offerta di contenuti di qualità, pertinenti e ben strutturati.

Lo so, stare dietro alle continue novità introdotte da Google può far uscire di testa anche l’imprenditore più volenteroso ed esperto. Ci sono un mucchio di dinamiche che vanno prese in considerazione e che spesso nascono dietro le quinte e vengono sbattute in faccia sul più bello a chi pensa di aver ormai capito come funziona il web.

Ma è per questo che ci sono io: per aggiornarti sulle novità e per spiegarti in che modo impattano sul tuo business.

E, se cerchi un aiuto ancora più concreto per lavorare sulla SEO del tuo progetto, non esitare a contattarmi.

#avantitutta!

🏆 Take Aways…

  • I brevetti Google evidenziano una crescente focalizzazione sulla personalizzazione delle ricerche in base al contesto dell’utente. Ciò implica che i proprietari di business online dovranno ottimizzare i contenuti per soddisfare le esigenze specifiche degli utenti in situazioni particolari.
  • L’implementazione dei brevetti potrebbe rendere la Local SEO fondamentale per apparire nelle SERP basate sulla posizione. Le aziende radicate sul territorio avrebbero un vantaggio nel fornire contenuti pertinenti ai luoghi specifici in cui gli utenti effettuano le ricerche.
  • L’importanza delle entità correlate e dei dati strutturati richiede un approccio di link building più sofisticato. Sarà necessario considerare non solo i link diretti alla loro entità principale, ma anche quelli collegati alle entità correlate per aumentare la visibilità.
  • Mentre le innovazioni di Google promettono un’esperienza di ricerca migliorata, sollevano anche preoccupazioni etiche sulla raccolta e l’uso dei dati degli utenti. Dobbiamo essere consapevoli dei rischi e richiedere la massima trasparenza nel trattamento dei dati.
  • L’evoluzione delle tecnologie di ricerca di Google richiederà agli imprenditori di adattarsi rapidamente alle nuove dinamiche. Concentrandosi su contenuti di alta qualità, pertinenti e strutturati, i proprietari di business possono posizionarsi per sfruttare al meglio le nuove opportunità offerte dal cambiamento tecnologico.

Roberto Serra

Mi chiamo Roberto Serra e sono un digital marketer con una forte passione per la SEO: Mi occupo di posizionamento sui motori di ricerca, strategia digitale e creazione di contenuti.

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